Almeno il 35% dei voti per vincere le elezioni. Premio di maggioranza sostanzioso: 15, forse 20 percento. Coalizioni avvantaggiate. Partiti piccoli, ma in grado di raggiungere almeno il 5%, salvati con la ripartizione dei seggi su base nazionale. Seconda soglia più alta di sbarramento, per chi non si coalizza, fissata all’8%. E liste bloccate, ma corte, con quattro o sei deputati da eleggere in ognuna delle 118 circoscrizioni (più o meno una per ogni provincia). Il sistema che ha messo d’accordo Renzi e Berlusconi parte dal modello spagnolo ma lo modifica talmente che gli va trovato un nuovo nome. Per gli avversari, la minoranza del Pd, è già in voga Porcellinum.

Renzi concede molto a Berlusconi. Innanzitutto il ritorno al centro della scena, un ingresso blindato nella sede del Nazareno con qualche contestatore a gridare «Viva gli sposi». Poi una dichiarazione impegnativa, trattandosi del Cavaliere che qualche mese fa voleva mandare «in pensione»: dopo due ore e venti di confronto a quattro – Gianni Letta con il Cavaliere, Lorenzo Guerini con il segretario del Pd – Renzi spiega che c’è «profonda sintonia» su tre punti. La riforma del Titolo V, che non era un problema. La trasformazione del senato in una camera «non eletta direttamente», e qui l’avverbio può annunciare una novità rispetto agli annunci precedenti di Renzi, dai quali pareva che sindaci e presidenti di Regioni sarebbero diventati in automatico senatori. Infine il punto più importante, la legge elettorale.

In una rapida conferenza stampa, Renzi ha offerto solo slogan, gli stessi della vigilia: sarà una legge che favorirà il bipolarismo e la governabilità e non consentirà ricatti ai piccoli partiti. Berlusconi ha aggiunto la speranza che la legge sia «condivisa». E soprattutto la sua incontenibile soddisfazione: «Siamo lieti di prendere atto del cambiamento di rotta del Pd». È questa la moneta con la quale il sindaco di Firenze paga lo spazio di manovra che gli ha offerto il Cavaliere. Il quale, dal canto suo, deve concedere la rinuncia a chiedere le elezioni a maggio. Ha anche la scusa: le riforme costituzionali da fare. E poi, approvata eventualmente la nuova legge elettorale entro marzo, potrà sempre essere Renzi a provocare la crisi, ammesso che sia un bene per il Cavaliere interdetto. Che intanto, sulla soglia dell’affidamento in prova, esulta: chi mi dava per morto dovrà ricredersi.

L’accordo a due è presentato come «aperto» al contributo delle altre forze politiche. Ma i tempi che detta il segretario sono tali che neanche il Pd potrà metterlo in discussione. Si vota domani pomeriggio in direzione, entro la fine della settimana in commissione alla camera (dove i deputati commissari ancora non sanno di che si sta parlando). La seconda chance concessa ad Alfano con il recupero nazionale di tutti i voti che altrimenti sarebbero stati dispersi a livello circoscrizionale (impossibile per il Nuovo centrodestra conquistare in quel modo anche un solo seggio) è la chiave per tenere insieme la maggioranza. La trattativa è già cominciata e a questo punto è tra Ncd e Forza Italia. Alfano twitta avvertimenti: «Siamo il partito al quale il centrodestra appende le sue possibilità di vittoria, senza di noi diventa terzo polo». E ancora «Non piaciamo al centrosinistra perché stiamo nel centrodestra». E infine: «È inutile che ci inducano per legge a tornare all’ovile». In coalizione con Berlusconi ma con il suo simbolo, Alfano potrà dire di non essere tornato, completamente, indietro.

Il presidente del Consiglio è stato tenuto fuori dalle trattative, e alla fine il Letta seduto al tavolo decisivo era Gianni. Verdini per Berlusconi e D’Alimonte per Renzi si sono preoccupati di trovare un modello in grado di favorire i primi due partiti, nella convinzione di poter entrambi superare Grillo – senza però triturare i medio-piccoli, purché disponibili alla coalizione. E alla fine il commento di Letta, vista anche la disponibilità di Alfano a vedere le carte – «con Renzi siamo in contatto, siamo per le coalizioni e l’indicazione del premier» – non è stato negativo. Al contrario: «Pare che andiamo nella buona direzione». Purché veramente «si tengano insieme maggioranza e opposizione». Soprattutto per palazzo Chigi «è fondamentale che si arrivi ad una nuova legge elettorale prima delle elezioni europee, insieme alle due prime letture delle riforme costituzionali». Come dice Renzi.