Il settimanale« Venerdì» di Repubblica ha accomunato Giorgio Agamben e me nell’accusa di ‘negazionismo’. A parte il piacere di essere accomunata ad Agamben, a torto o a ragione, ho qualcosa da dire su questa accusa.

La parola ‘negazionismo’, applicata finora a chi nega la Shoah, vuole separare dal consorzio umano chi rifiuta una convinzione generale, di natura dogmatica sebbene non religiosa. Nel caso della Shoah, si tratta di negare la testimonianza di migliaia di documenti, scritti e figurali, di una persecuzione spaventosa e disumana, che ha colpito 6 milioni di persone. E tuttavia, fare di questa testimonianza un dovere della fede è un modo di snaturarla, sottrarla alla pietà e alla conoscenza.

Ma tacciare di ‘negazionismo’ chi non ‘nega’ nulla, ma accusa comportamenti che hanno travisato, sfruttato, azzerato un grave allarme, così da perpetuarlo anziché fronteggiarlo, per trarne tutti i benefici possibili (miliardi di benefici..) ai danni dei cittadini, vuol dire rendersi complici di questi stessi comportamenti.

Nessuno, che io sappia, ha contestato le convinzioni di queste persone (Agamben e io siamo solo una parte di esse), ma le ha semplicemente coperte di insulti volgari e sommari.

Ora, tanto per essere chiara una volta di più, preciso che: non ho mai negato l’evidenza (che anzi mi pare la vera fonte della verità) di un’infezione invasiva e perniciosa, simile a molte occorse negli ultimi decenni e annunciatrice di altre simili nei prossimi. Ma ritengo che il ‘confinamento’, cioè la costrizione dei cittadini a chiudersi in casa, lasciare il lavoro, ritirare i figli dalla scuola, abbandonare i famigliari, i propri morti, le fonti di reddito, sospendere la cura di altre malattie, anche più gravi – misure mai adottate nelle precedenti epidemie -, il ‘confinamento’, dicevo, sia stato reso necessario (vedremo poi se utile, e a che prezzo) dal rifiuto di adottare misure veramente preventive o risanatorie, come il potenziare la sanità pubblica anziché privata, contenere l’inquinamento nelle città e l’uso di pesticidi nelle campagne, vietare gli allevamenti intensivi, favorire i mezzi di trasporto elettrici, chiudere le fabbriche più inquinanti (vedi l’Ilva o le fabbriche di armi), e cioè affrontare le cause di queste epidemie, da tempo annunciate, anziché i loro effetti, e per poter fare ciò, terrorizzare la popolazione con tutti i mezzi a disposizione delle autorità e la complicità entusiastica di mezzi di comunicazione sedicenti liberi. Io dunque, più che negare, direi che affermo, e affermo molte cose. Se sono sbagliate, convincetemi. Se sono giuste, aiutatemi.

Altrimenti, l’accusa di ‘negare’ questa vantaggiosa codardia ricade su chi l’ha condivisa, rinunciando non solo alla ricerca della verità, ma a quella del bene comune, che dovrebbe essere l’unica ragione di vita di chi ha il potere di farsi ascoltare.