Cannes 2015 ha il sorriso enigmatico di Ingrid Bergman, troppo presto invece per sapere se almeno la selezione ufficiale si ispira alla «lezione» rosselliniana di cui l’attrice è stata corpo e interprete nelle sue declinazioni migliori. Oppure a quella della nouvelle vague impertinente di Agnés Varda a cui verrà consegnata la Palma d’oro d’onore. Per questo «Viaggio nel Cinema» dunque, come sempre le attese sono molte su una Croisette assolata, con i lavori ancora in corso, il Palais sguarnito, il profumo dell’estate arrivata troppo presto. E se anche come rituale vuole nel salutarsi in coda aspettando l’accredito si dice: «Mamma mia sono già stanco! » oppure: «Oddio come si farà a vedere tutto!» nessuno rinuncerebbe all’appuntamento per niente al mondo.

Cannes è sempre Cannes che si voglia o meno, e il Festival guidato dall’imperturbabile (anche alle critiche) Thierry Frémeaux lo sa. Per quindici giorni ti risucchia in una bolla, e come gli scolaretti diligenti, armati delle nostre tesserine che separano gli uni dagli altri categoricamente, si va avanti e dietro sul lungomare, quest’anno accessoriati anche di cartellina azzurra, la borsa gadget molto hypster e molto carina. Per una scrollata di realtà basta salire sul treno, alla prima stazione francese i poliziotti buttano giù tre ragazzi africani, altri due più svegli salgono alla stazione successiva. Sono passati attraverso i monti raccontano. Benvenuti in Francia.

Le critiche si diceva. Che ovviamente non mancano anzi Frémeaux è stato severamente criticato per non avere preso in concorso il nuovo film di Arnaud Desplechin, Trois souvenirs de ma jeunesse – nel bel cartellone della Quinzaine di Edouard Waintrop – con cinque film targati Francia a sbandierare l’orgoglio nazionale di una cinematografia che i dati dello scorso anno, a differenza dei nostri, dicono in ottima salute.
Il rifiuto in gara di Desplechin è diventato un caso nazionale. Il film ritrova Mathieu Amalric, l’attore alter ego del regista, e Emmanuelle Devos, il suo doppio femminile, letteratura e riferimenti musicali per raccontare un amore perduto…

Il quotidiano Le Monde nel tradizionale inserto dedicato al Festival ha puntato su Natalie Portman in copertina, l’eroina di Guerre stellari esordisce come regista (fuori concorso) portando sullo schermo l’Amoz Oz di Una storia d’amore e di tenebra (di cui è anche protagonista) progetto ambizioso per un film che i bene informati danno come piuttosto nullo.
Ancora a proposito della selezione ufficiale qualche giorno fa il quotidiano Libération scriveva: «Frémeaux ha giocato la carta dei nomi sicuri con qualche novità».

Ma l’alternanza tra registi «noti» e abituali della selezione cannois, e new entry è da sempre una caratteristica del Festival. D’altra parte la scorsa edizione con una serie di grandi autori – Dardenne, Mike Leigh, Godard, Assayas, Cronenberg – ha prodotto molte (belle) sorprese, a prova che non sempre il «nuovo» corrisponde di per sé a ricerca e qualità.
L’unica opera prima in gara quest’anno è Saul Fia (Il figlio di Saul) di Laszlo Nemes, una storia ambientata nei campo di concentramento dove il protagonista, ebreo, cerca disperatamente di seppellire il corpo di un ragazzo, forse suo figlio. Nemes viene dalla «scuola» di Bela Tarr, di cui è stato assistente, sembra che il film sia un capolavoro. Lo scopriremo molto presto visto che è programmato nei primissimi giorni festivalieri.

Meno «nuovo» è invece Yorgos Lanthimos, nome di punta del cinema greco contemporaneo (quello della crisi e post-Angheloupoulos per intenderci). Certo Lobster è la sua prima corsa alla Palma d’oro ma Kynodontas (2009) ha vinto il Certain Regard – giuria presieduta da Paolo Sorrentino – e l’inquietante Alps è stato in concorso alla Mostra di Venezia.

La novità per Lanthimos sono la scelta di un cast internazionale e di girare in inglese Rachel Weisz, Colin Farrell – passaggio comune al Matteo Garrone del Racconto dei Racconti – in gara il 14 in comtemporanea all’uscita nelle nostre sale – e di altri registi sulla Croisette come Joachim Trier, naturalmente Paolo Sorrentino in The Youth. 

Prima volta anche per Valérie Donzelli in corsa alla Palma con Marguerite&Julien, Frémeaux si era fatto sfuggire il meraviglioso La guerre est declareè, che aveva fatto impazzire la Croisette e l’indice di gradimento della Semaine de la Critique che lo aveva presentato come evento speciale.

Rovesciamenti. È il caso del nuovo film di Apichatpong Weerasethakul, Palma d’oro con Lo zio Boomer che è stato «aggiunto» all’ultimo momento nella selezione del Certain Regard (il film si chiama Cemetery of Splendour), sezione sulla carta dedicata alle scoperte – del tipo piccoli registi crescono per la Palma d’oro – e che da qualche tempo sembra invece diventata la riserva per correggere il tiro sulle «clamorose» assenze dal concorso. Qualche anno fa avevamo visto al Certain Regard il magnifico Lo strano caso di Angelica di De Oliveira, tra i suoi film recenti più belli, o il Godard di Film socialisme… Quest’anno al Certain Regard c’è anche Naomi Kawase (Sweet Red Bean Paste) regista molto amata da Cannes il cui film era tra quelli dati in gara prima della conferenza stampa ufficiale.

L’impressione è comunque che Frémaux abbia composto il programma in equilibrio ancora più complicato, e non solo per il numero di film – 19 in concorso e 19 al Certain Regard più eventi speciali, fuori concorso – ma anche per la griglia molto affollata dei primi giorni.E oltre il Palais? La Quinzaine inaugura con l’imperdibile nuovo film di Philippe Garrel, L’ombre des femmes, e la masterclass di Jia Zhang-ke, di cui rivedremo Platform, brilla sinergia tra l’autore sessantottino di Le lit de la vierge, e il regista cinese lanciato dalla Francia ai tempi del suo primo film, Pickpocket, incursione critica nella Nuova Cina capitalista colta nel suo momento di feroce trasformazione.
Alla Semaine partenza invece con Les anarchistes, opera seconda di Elia Wajeman.

Oggi dopo il film di apertura (francese) di Emmanuelle Bercot La tete haute, sarà anche il giorno della proiezione per la stampa internazionale di Il Racconto dei racconti. Intervistati dal quotidiano Le Monde i fratelli Coen noti per la loro laconicità hanno detto: «Essere in gara aiuta la discussione su un film anche se non sempre si premia il migliore».
Lo sapremo tra dodici giorni.