Mi raccontate con le vostre parole la storia che abbiamo letto? «Si intitola Il tappeto che non voleva essere calpestato, cioè non voleva essere pestato». «È strano, però. Perché il tappeto…Perché un tappeto…Insomma, tu ci cammini sempre sopra un tappeto, ti sdrai…». «Anche io in camera mia ho un tappeto che ci sto sempre sopra anche senza scarpe, così fa più caldo che stare sul pavimento». «Anche io». «Io ho un tappeto grande anche in sala. Sotto il tavolo e di fianco. Fatto di tanti quadrati colorati. Però noi non lo calpestiamo, questo tappeto. Non molto». «Per pulire i tappeti bisogna sbatterei». «Io ho visto un negozio con dei tappeti aperti e ce ne erano tantissimi anche arrotolati». «Il tappeto è il protagonista della storia perché è lui il protagonista. Poi si capisce anche dal titolo».

Vabbe’, iniziate a raccontarmi la storia?

«Era successo… Insomma, c’era questo tappeto che, anche se lui era un tappeto, non voleva mai essere calpestato. Non ne voleva proprio sapere. Abitava in una villa. Insieme a lui c’erano tanti altri tappeti, e tutti si trovavano bene, ma lui no». «Sì, è vero. Non gli piaceva essere un tappeto». «No, gli piaceva, ma si lamentava ogni giorno perché non voleva che gli altri salissero su di lui con la suola delle scarpe… O anche a piedi nudi…» «Forse perché gli altri erano pesanti e lui, invece, era tutto piccolo, tutto fine, e non riusciva a portarli». «Persiano io lo so cosa vuol dire: che era un tappeto che veniva dalla Persia. Che è una città. Sì, mi pare che è una città dove fanno vedere che ci sono sempre tanti tappeti bellissimi». «Però io non so se è un paese vero esche… La storia è inventata. Si capisce, non è reale. Un tappeto non parla. Allora, forse, per me anche il paese dove era nato era falso». «Non era neppure un tappeto volante, però». «Cosa vuol dire?» «La storia è che c’è questo tappeto che fa la protesta. Dice che è una cosa sbagliata che tutti calpestano i tappeti. Fa uno sciopero. Solo che nessuno lo ascolta». «Be’, c’è la lampada…» «Sì, ma la lampada da tavolo, per me, è come se lo prende in giro, il tappeto». «Perché sospira e dice: E’ come se io, che sono solo una povera lampada da tavolo, volesse essere un lampadario».

«E allora?» «Non può. E’ come se lei gli dice: Non puoi perché tu sei un tappeto, allora è normale che gli altri possono andare sopra di te, sedersi, sdraiarti, perché sei un tappeto, i tappeti servono proprio a quello». «Sì, la lampada non capisce bene perché lui si lamenta». «Sì, è vero, ma non è un modo per prendere in giro il tappeto». «Ma il tappeto persiano continua a protestare, a dire che tutti i tappeti del mondo non dovevano più essere calpestati, perché era una cosa brutta calpestare i tappeti…. Allora va a finire che tutti i tappeti di quella casa iniziano a pensarla come lui, cioè non vogliono più e essere calpestati». «Sì, anche i tappeti italiani, francesi, cinesi…» «Quando qualcuno camminava sopra di loro, lo facevano scivolare». Così va a finire che un tappeto è inchiodato al pavimento e tutti gli altri sono arrotolati e portati al buio in cantina». «Però la storia non finisce così: perché dopo i tappeti sono pentiti di stare chiusi. poi nella casa è nato un bambino e nessuno aveva il coraggio di farlo scivolare perché lui stava imparando proprio a camminare». «Sì, perché poi i tappeti li hanno srotolati di nuovo e non erano più arrabbiati come prima. Dopo… Dopo gli piaceva se qualcuno si sdraiava, si sedeva o camminava sopra di loro».

«È stato il bambino a far portare tutti i tappeti che erano in cantina in casa, sì, di nuovo in casa. E dopo nessuno dei tappeti, anche quello che protestava sempre, anche il tappeto che aveva protestato per primo aveva il coraggio di far cadere quel bambino e infatti non lo facevano cadere. E neppure i suoi genitori o i suoi amici». «Anche i gatti o il cane potevano sdraiarsi su di lui…» «A me la storia è piaciuta però era un po’ strana. Per me… Io non l’ho capita bene». «Anche per me. Era un po’ stupida. Perché i tappeti poi non sono così importanti». «A me piace sdraiarmi sul tappeto».