È la grande giornata delle trattative all’interno del Pd. La pace sembra a un passo anche se non la firmeranno tutti i dissidenti del Pd e forse anzi ad accettarla potrebbero essere meno della metà. Ma Bersani è tentato e forse qualcosina in più. Il vicesegretario Guerini ieri pomeriggio ha sentito sia lui che Cuperlo ed è uscito rinfrancato dai colloqui. Le porte non sono ancora spalancate ma neppure più sprangate, anche se lo stato maggiore renziano non si fa illusioni: non tutti si arrenderanno.

In realtà palazzo Chigi aspetta ancora con ansia la decisione di Grasso. Renzi e i suoi sono infatti convinti che ormai tutto dipenda dalla decisione del presidente del Senato. Se vieterà di emendare l’art.2 considerano la partita già vinta. In caso contrario, la minoranza tornerà a dare battaglia, e nonostante la fortunata campagna acquisti i numeri di palazzo Madama continuano a far paura. Soprattutto, Renzi sa benissimo che una riforma varata solo grazie alle manovre di Denis Verdini e al non disinteressato sostegno dei senatori che rispondono a Nicola Cosentino nascerebbe con un peccato originale indelebile. Per questo, pur essendo ormai quasi tranquillo sui numeri, spera ardentemente che Grasso chiuda i giochi sull’art. 2, facilitando la resa dei ribelli del Pd.

Piero Grasso, per ora, continua a non sciogliere l’enigma: «Mi stupisce che le notizie anticipino gli avvenimenti, come nel caso delle mie decisioni. Diffidate», avverte. E spiega: «Non posso decidere fino a che non conosco gli emendamenti». In realtà il presidente del Senato non ha mai smesso di insistere perché la politica, cioè in questo caso il Pd, trovi un accordo senza il suo intervento d’autorità. Per questo un’intesa nella direzione democratica di lunedì prossimo, pur se non accettata da una folta pattuglia di senatori ma comunque sottoscrittta dai “capicorrente”, sarebbe fondamentale anche per disinnescare una possibile, pur se improbabile, decisione contraria ai desiderata del capo del governo.

I segnali di fumo si susseguono a ritmo accelerato. Il capo dei deputati Ettore Rosato esorta a «ritrovare l’unità del partito: noi siamo disponibili», la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Anna Finocchiaro già quasi esulta perché intravede «tutte le condizioni per un’ampia condivisione nel partito, nella maggioranza e in aula». Gotor, che della minoranza al Senato è di fatto il portavoce, mette le mani avanti: «Se si intende accedere all’elettività diretta nell’ambito dell’art. 2 le soluzioni si troveranno di certo». Ma il collega Fornaro, altro dissidente, è meno prudente: «L’accordo, nell’ambito dell’art.2, è a portata di mano a condizione che non si scelgano soluzioni pasticciate». Parole quasi identiche a quelle del presidente del partito Orfini: «L’intesa è possibile se prevale uno spirito unitario, anche se è chiaro che non si può eliminare uno dei due pilastri della riforma».

Formalmente l’intesa sarebbe frutto di una mediazione. Politicamente si tratterebbe una vittoria di Renzi tanto netta quanto la sconfitta della minoranza. L’art. 2 verrebbe toccato di nome, con un “intervento chirurgico” sul comma 7 o più probabilmente sul comma 5, ma non di fatto. La messa a punto definitiva delle norme sull’elettività dei senatori verrebbe rinviata a data da destinarsi. Si può star certi che, una volta vinta la battaglia, Matteo Renzi concederebbe pochissimo.

Non è che il particolare sfugga ai leader della minoranza. È il quadro che in pochi giorni appare cambiato. Il commento politico più preciso se lo lascia scappare Naccarato, del Gal: «Qui tra un po’ per entrare nella maggioranza ci saranno solo posti in piedi». È il successo della campagna acquisti di Verdini che fa tremare le vene ai polsi della minoranza. Il verdiniano D’Anna, già nemico giurato della riforma che sta per votare, calcola 171 voti a favore del governo. Non proprio scintillanti, è vero, ma sufficienti a siglare la completa superfluità della minoranza. La tentazione dell’accordo nasce tutta da lì. Da quel miracolo di san Denis che la senatrice Pd Pezzopane smentisce indignata: «Le accuse di compravendita sono gravi e ridicole». Come faccia tosta è da gran premio.