Tina lavora alla dogana e ha un fiuto infallibile. Nulla le sfugge di quello che è «illegale», il suo naso non si ferma alle cose ma sente quanto le circonda, cattura i sentimenti e le emozioni, la paura, il senso di colpa, gli imbarazzi, la vergogna. Solitaria, infagottata nella divisa, le unghie sempre sporche, la faccia mascolina, qualcosa di animale nelle movenze, Tina si occupa del padre, ricoverato in una clinica per anziani, vive in mezzo alla natura con una specie di fidanzato – ma solo perché le piace avere qualcuno intorno – che alleva cani da combattimento, gli unici animali che la temono mentre quelli selvaggi del bosco sembrano avere una relazione speciale con lei….
Il titolo, Border – Creature di confine è già un’indicazione., il film di Ali Abbasi, premiato allo scorso Festival di Cannes nella sezione Certain Regard, si muove infatti lungo molteplici confini che da quello legale della dogana dove lavora la protagonista – Eva Melander capace di reggere il make up di una pesante protesi facciale – si allargano alle apparenze che regolano la società fino a investire le scelte cinematografiche messe in campo di quello che appare come un fantasy a cui si unisce la cronaca del nostro tempo. Molto, moltissimo che il regista svedese di origini iraniane dipana in modo semplice seguendo la natura di Tina, costretta a un certo punto da un incontro con qualcuno di cui neppure il suo allenatissimo olfatto riesce a catturare il segreto a guardare dentro di sé.

ALL’ORIGINE del film c’è un romanzo di John Ajvide Lindqvist, autore dei vampiri «quotidiani» di Lasciami entrare che qui continua la sua esplorazione delle leggende nordiche all’interno del presente più ordinario, in una realtà che sembra sfuggire a ogni connotazione eccezionale. Una persona come Tina che probabilmente per tutta la sua vita ha patito la sua differenza si confonde in quel proletariato contemporaneo che popola suburbi e margini proprio come Vore (Eero Milonoff) un altro borderline dei tanti che vivono negli interstizi della società. E mentre Tina presta il suo fiuto a una indagine sulla pedofilia, scopre col nuovo amico il piacere e l’orgasmo, la gioia del suo corpo libero e nudo nel muschio, nella terra, nell’acqua: possono convivere la bestialità arcaica e l’ordine umano di cui lei stessa è espressione? A quella che appare come una questione identitaria, di appartenenza secondo le convenzioni imposte, Abbasi sembra rispondere spostando le definizioni di «mostruosità» celata in esseri misteriosi così come nelle case Ikea abitate da coppie felici. È il confine di «umano» e del nostro tempo che il regista prova a ridisegnare in questa esperienza insieme al gender, alla sessualità, alle possibilità di convivenza. Ma l’intento dimostrativo, di metafora del presente finisce per prevaricare la libertà del racconto, fino a perdere quella dimensione fantastica, di piacere e spregiudicatezza, l’orizzonte strabico di una sorpresa.