Presi dalla vicenda di Giulio Regeni, tra depistaggi e bugie, abbiamo forse dimenticato la morte di un altro italiano: Giovanni Lo Porto (nella foto), rapito nel 2012 in Pakistan e ucciso da un drone Usa nel gennaio del 2015. A non dimenticare è la famiglia che, quattro giorni fa, ha tenuto una conferenza stampa a Montecitorio (andata deserta!) con gli avvocati, i radicali e il senatore Luigi Manconi. Quest’ultimo lunedi prossimo depositerà un’interrogazione al governo e al ministero degli Esteri per sapere sia il risultato delle promesse che il presidente Obama fece nella dichiarazione pubblica con la quale, nell’aprile 2015, rese nota la morte di Giovanni e si scusò con la famiglia, sia se gli Usa intendano procedere a un risarcimento. E sì, perché Obama fece delle promesse poi ribadite in un comunicato ufficiale della casa Bianca. Undici mesi fa.

L’America non è l’Egitto e ovviamente Obama non è Al Sisi. Anzi, quella dichiarazione rese testimonianza di un desiderio di trasparenza che sta a cuore all’uomo che ha sempre voluto chiudere Guantanamo anche se resta il principale assertore della politica dei droni. Ma la storia della morte di Giovanni era e resta lacunosa. E le promesse di quell’aprile lettera morta. I legali della famiglia, gli avvocati Andrea Saccucci e Giorgio Perroni, ricordano che Obama si assunse la piena responsabilità dell’accaduto e promise la declassificazione dell’operativo che «erroneamente» portò alla morte di Giovanni e di Warren Weinstein quando l’obiettivo erano due qaedisti americani, Ahmed Farouq e Adam Gadahn. Gli avvocati della famiglia hanno inoltrato una richiesta formale al governo americano sul risarcimento e al contempo hanno depositato, nel procedimento aperto dalla magistratura italiana nel 2012, una denuncia querela nella quale domandano ai giudici italiani di richiedere, per rogatoria, le regole delle operazioni coi droni e la documentazione su quella che riguardò Giovanni. Infine le risultanze delle indagini condotte dall’intelligence Usa prima e dopo il raid, ossia gli esiti degli accertamenti tecnici. Va ricordato che Obama fece il suo annuncio tre mesi dopo l’operativo e che Renzi (v. la polemica sul fatto che non fosse stato informato) spiegò che gli accertamenti avevano richiesto appunto tre mesi per capire. La famiglia infine, solleciterà anche l’Onu perché appoggi le loro richieste (esiste un Rapporteur che indaga queste pratiche ritenute violazioni del diritto internazionale quando i droni operano fuori da un contesto bellico dichiarato).

Manconi, nella sua interrogazione, chiede luce su un particolare: «Il comunicato ufficiale della Casa Bianca – dice – fa esplicito riferimento al lavoro di una commissione indipendente di indagine. Di questo lavoro, a 11 mesi dall’impegno, vorremmo sapere, poiché ciò fornirebbe la conoscenza non solo del prima e del dopo ma anche cosa o chi determinò l’errore».

Recentemente il Pentagono ha fatto sapere che annualmente saranno rese note tutte le operazioni segrete compiute dai droni e relativi effetti. Ma quanto sarà trasparente il rapporto resta da vedere visto che gli esiti dell’indagine sul caso Lo Porto (o quella sul raid di Kunduz nell’ospedale di Msf) ancora non si vedono. Una recente inchiesta di Al Jazeera in Afghanistan ha rivelato che proprio la classificazione delle operazioni con velivoli senza pilota impedisce una ricostruzione chiara delle responsabilità che finisce così a inficiare persino il rapporto sulle vittime civili afghane che ogni anno Unama, la missione Onu a Kabul, rende pubblico.