L’opera è stata approvata, tanto tempo fa, a scatola chiusa dal governo, ritenendola strategica. Ora, invece, l’Arera (Autorità nazionale di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) ha chiesto l’avvio della consultazione pubblica riguardo «all’utilità per gli italiani del gasdotto ‘Linea Adriatica’, con dentro anche il tratto Sulmona-Foligno». E questo perché la realizzazione del metanodotto, costo complessivo due miliardi e 400 milioni, dovrebbe gravare sulla bolletta dei cittadini, alla solita voce… «trasporto».

Il Coordinamento «No hub del gas» e i Comitati cittadini per l’ambiente di Sulmona (Aq), che si sono sempre scagliati contro quest’intervento ritenendolo vano e dannoso, anche per i rischi idrogeologici e sismici ad esso potenzialmente legati nel tratto che va dall’Abruzzo all’Umbria, plaudono all’iniziativa dell’Arera ma – ricordano – sull’infrastruttura c’è già l’imprimatur del governo, «a conferma che il nostro Paese è proprio… la terra dei cachi». Da una prima analisi dei documenti pubblicati da Snam per la consultazione «emerge – attacca il Coordinamento – una situazione surreale, con dati confusi e contraddittori. Intanto balza all’occhio che la condotta, definita «strategica», è stata proposta nel 2004. La centrale di Sulmona ha avuto l’ok nel 2018 e i lavori sarebbero dovuti iniziare nel 2021… Ossia diciassette anni dopo il progetto. Tanto è urgente che il termine di avvio degli interventi, obbligatorio, pena la decadenza dell’autorizzazione stessa, è stato già prorogato due volte, prima al 7 marzo 2022 e, a seguire, al 7 marzo 2023 (peraltro con un decreto del ministero “a posteriori” del 17 marzo 2022)». E la società titolare annuncia che i lavori non cominceranno prima del luglio 2024, con attivazione del gasdotto nel 2028, a ventiquattro anni dall’autorizzazione. Snam – denunciano gli ambientalisti – «immagina per il 2030 la costruzione di rigassificatori e gasdotti per una capacità complessiva di almeno 90 miliardi di metri cubi, senza considerare i contributi dalla Russia. Ma ammette che i consumi di gas, allora, saranno di 60-65 miliardi di metri cubi, considerando anche il biometano. Tradotto, queste grandi opere, che tutti pagheremo, resteranno inutilizzate per almeno un terzo della loro capacità».

Ma l’analisi prosegue ed è impietosa. «La guerra in Ucraina – rimarca il Coordinamento – è stata, e continua ad essere, utilizzata come pretesto. L’abnorme aumento delle bollette è dovuto non alla carenza di metano ma alle manovre finanziarie delle grandi società che dominano il mercato: la sola Eni nei primi 9 mesi del 2022 ha quadruplicato gli utili da 2,6 a 11 miliardi. Il gas all’Italia non è mai mancato. A controprova c’è il fatto che ne ha esportato, fino ad ottobre 2022, oltre 3 miliardi e 400 milioni di metri cubi, cosa mai accaduta in passato: un quantitativo che è superiore a quello che il governo vorrebbe ricavare da nuove trivellazioni in mare e sulla terraferma! I minori quantitativi importati dalla Russia sono stati interamente compensati, essendo l’Italia, in Europa, il Paese che ha la migliore diversificazione delle fonti d’ingresso, con cinque metanodotti e tre rigassificatori».

Il maggiore apporto di gas, in sostituzione di quello russo – si evidenzia – è venuto in particolare dalla Norvegia, e non da Algeria, Libia e Azerbaigian… «Il che è un’ulteriore conferma della inutilità della “Linea Adriatica”, la cui funzione dovrebbe essere quella di portare più gas da sud a nord. L’Italia – spiegano Augusto De Sanctis e Mario Pizzolla – dispone di infrastrutture di trasporto e di distribuzione interna che sono sovradimensionate rispetto al proprio fabbisogno. Nel tempo i consumi di gas sono scesi sensibilmente passando da 86 miliardi e 200 milioni di metri cubi del 2005 ai 69 miliardi del 2022 (71 miliardi se vogliamo considerare la media degli ultimi 5 anni). Questo trend in diminuzione proseguirà». Una miriade di criticità, per ciò il Coordinamento invita cittadini, associazioni e Comuni ad inviare fiumi di osservazioni a Snam. Perché «metanodotto e centrale di Sulmona – concludono – sono sì strategici, ma per i profitti di Snam ed Eni».