L’idea che il Movimento 5 Stelle dopo gli Stati generali si sarebbe assestato attorno a linee definite e di conseguenza avrebbe indirizza il governo su strade più sicure ed equilibri più stabili si infrange attorno al voto parlamentare, previsto per il prossimo 9 dicembre, sul nuovo statuto del Mes.
Già martedì, dopo l’audizione del ministro Gualtieri, le divisioni erano iniziate a trapelare. Ieri si sono materializzate in un testo diffuso a metà giornata con le firme di 52 deputati e 16 senatori grillini che recita a chiare lettere: «Bisogna riaffermare con maggiore forza e maggiori argomenti, quanto già ottenuto negli ultimi mesi: no alla riforma del Mes».
Il documento rivolto al capo politico M5S Vito Crimi, al capodelegazione nel governo Alfonso Bonafede e ai capigruppo di camera e senato prosegue: «Chiediamo che nella prossima risoluzione parlamentare venga richiesto che la riforma sia subordinata alle riforme economico-finanziarie europee». È quella che in gergo viene chiamata «logica di pacchetto», che raccoglie tra i grillini più consensi di quanto da Palazzo Chigi potessero pensare.
Non si tratta di contrapposizione tra disegni alternativi e correnti ben definite, ma è evidente che il tema manda in cortocircuito i diversi mondi che si agitano dentro al M5S. Luigi Di Maio e i «governisti» sostengono che bisogna farei conti con la grammatica dei rapporti tra stati e con la realpolitik: non si possono chiedere i soldi del Recovery Fund se non si manda un segnale sul Mes.
I dissidenti considerano poco coerente, dal punto di vista logico prima che politico, la posizione espressa da Crimi, secondo il quale i 5 Stelle devono impegnarsi nell’approvazione della riforma del meccanismo europeo salva-stati anche se garantisce che l’Italia non vi farà mai ricorso. Per gli oppositori il via libera alla riforma del trattato mette il paese in un piano inclinato che punta dritto all’utilizzo del Mes sanitario: con quale forza contrattuale e in base a quale logica politica il M5S a quel punto potrebbe dire di no?
I vertici hanno chiesto al Pd di inserire il diniego all’uso del Mes nel testo che darà mandato a Giuseppe Conte di andare al Consiglio europeo e approvare la riforma. Si tratterebbe di una scappatoia, che si spera di poter annunciare domani in all’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari grillini in modo da uscire dal vicolo cieco. L’altra ipotesi, meno contorta, è che nella risoluzione venga ribadito che qualsiasi scelta sul ricorso al fondo debba passare per il parlamento.
I nodi irrisolti dei 5 Stelle vengono al pettine all’indomani dell’annuncio dell’intenzione di Di Maio di intraprendere un ciclo di assemblee regionali che pare pensato per riprendersi il M5S e suggellare la svolta moderata che ha in mente.
Nel corso della giornata, le firme in calce al documento dei dissidenti sono andate riducendosi. Effetto della pressione che dalle alte sfere è arrivata sui parlamentari. Molti di quelli che stanno lavorando ai fianchi i grillini di governo nei giorni scorsi avevano provato a presentare emendamenti per salvare alcuni aspetti dei decreti sicurezza di Salvini. I nuovi testi, che in parte cambiano le scelte che portano la firma del leader leghista quando stava al Viminale, arrivano alla camera per l’approvazione definitiva il 9 dicembre. Lo stesso giorno in cui si vota sul nuovo Mes.