Un uomo chino sotto il cappello che lo protegge dal sole, con i piedi nell’acqua e circondato dai suoi strumenti di lavoro: barra, setaccio, canalina, tulin, secchi e pala. Si tratta di un cercatore d’oro. Non siamo stati proiettati indietro nel tempo, nello Yukon o nel Klondike dei romanzi di Jack Lemmon, ma ci troviamo lungo le sponde del fiume blu: il Ticino. Ebbene sì, in Italia c’è l’oro e nelle viscere del Monte Rosa esiste un giacimento superiore a quelli attualmente più produttivi presenti in Sudafrica. Un giacimento di 20 km quadrati che, a causa di problemi ambientali, di sicurezza e di costi, non è attualmente sfruttato. 60 chilometri o forse più di gallerie testimoniano l’antico lavoro che si svolgeva soprattutto nella Valle Anzasca, a Macugnaga, in provincia di Verbania, dove l’ultima miniera fu chiusa nel 1961, a seguito di un incidente in cui persero la vita quattro persone. La miniera d’oro della Guia, nella frazione di Borca è oggi accessibile alle visite guidate, durante le quali è possibile scorgere lungo il percorso autentici filoni di pirite aurifera.
«I giacimenti primari sono generalmente filoni, chiamati anche vene, che attraversano altre formazioni rocciose – si legge sul sito dell’Università di Trento – Sono costituiti prevalentemente da quarzo, in cui sono dispersi piccoli grani d’oro; quest’oro, detto anche primario o nativo, è spesso accompagnato da residui minerali metallici (ferro, rame, arsenico e antimonio). Le vene si formano quando fluidi idrotermali costituiti da acque e vapori con temperature di qualche centinaio di gradi (tra i 320° e i 380°C) e pressioni comprese tra 0,8 e 3 kbar, contenenti oro e altri metalli provenienti dalla profondità della terra, penetrano in rocce preesistenti. Un tipico deposito aurifero è prodotto nelle rocce vulcaniche dall’interazione tra i fluidi magmatici, provenienti dalle camere sottostanti, con i fluidi meteorici; le vene d’oro si trovano sotto i detriti prodotti dall’erosione dell’edificio vulcanico».
Durante le fasi glaciali del Quaternario, i ghiacciai delle Alpi occidentali si sono man mano espansi e ritirati edificando cerchie moreniche formate dai detriti. Successivamente la rete fluviale ha aperto dei varchi in questi depositi che ancor oggi i fiumi erodono e trascinano a valle durante le piene. L’oro contenuto in tali depositi si presenta sotto forma di lamelle e di granuli: la forma a granulo è indice del basso tasso di trasporto che esso ha subito ad opera dei corsi d’acqua; in genere, infatti, i granuli subiscono in acqua corrente continue percussioni tra i ciottoli e per la loro elevata malleabilità si assottigliano assumendo una forma lamellare. Si sono così formati i giacimenti secondari.
Come in tutti i fiumi di origine alpina, soprattutto Po, Dora Baltea, Adda, Serio, Oglio, il Ticino è un bacino in cui è possibile trovare l’oro. Esiste una vera e propria documentazione di concessione di cavare oro dai greti del fiume risalente al Barbarossa, anche se già Plinio parla di diverse testimonianze in proposito. Le concessioni passarono di mano in mano tra feudatari ed ecclesiastici, fino a quando tutti i greti dei fiumi italiani passarono sotto il Demanio, che iniziò ad assegnare le licenze ai richiedenti. Fino alla Seconda Guerra Mondiale, da Varallo Pombia a Galliate, circa seicento cercatori trascorrevano la loro giornata chini sui setacci. Il duro lavoro era ripagato dalla raccolta di 10-15 g al giorno del prezioso elemento e, a fine mese, il guadagno era dieci volte superiore a quello di un operaio che lavorava in fabbrica!
Alla fine dell’800, una compagnia francese, decise di avviare un’impresa di estrazione estensiva per mezzo di draghe a vapore, ma il tutto si risolse in un fallimento: nessun sistema industriale è infatti in grado di emulare la segreta capacità dei cercatori d’oro, tramandata di generazione in generazione. Oggi la situazione è cambiata, le risorse sono nettamente diminuite e la ricerca dell’oro in Italia è diventata un hobby per i pochi che hanno un po’ di tempo, molta pazienza e una grande resistenza fisica. Dopo ore di lavoro è possibile andarsene senza nulla oppure trovare delle vere e proprie pepite fino a 14 grammi. Non è pensabile farlo per guadagnare, ma solo per collezionare.
Il 12 ottobre tutti potranno cimentarsi in questa attività nelle piccole aree sabbiose in un’ansa del fiume Ticino. Come succede durante le gare, alcune pagliuzze verranno aggiunte in loco perché tutti possano soddisfare la propria «febbre dell’oro».

*Associazione Didattica Museale