Accendere una sigaretta. Un gesto semplice, fatto soprappensiero. Accosti la fiamma al profumato rocchetto di tabacco che reggi delicatamente tra le labbra e aspiri. Quel filo di fumo, che sale azzurrino davanti ai tuoi occhi, lo hai trattenuto in parte e ti si sparge in bocca, ne odori l’aroma. Con quel semplice gesto un mondo si apre. Offusca e oblitera quanto ti sta d’attorno, appanna persone e cose e consegna il tuo corpo alla latitudine interiore che riconosci tua. Ti risulta attutita ogni sensazione che non afferisca allo stato d’animo intimo che cerchi e che ritrovi, e cede ogni determinazione che sia di ostacolo alla tua immaginativa. Sospensione e introflessione. Con quel gesto semplice dell’accendere stabilisci un contatto segreto con te medesimo. Al di qua del fare e del calcolare, ti conduci là dove le emozioni tue e le tue impressioni fluttuano, libere come le volute del fumo dagli effimeri ghirigori. Accendere una sigaretta è aprirsi un accesso immediato agli immemoriali orizzonti della propria indole.

È un dispositivo prodigioso che istituisce un gioco di distanze: ti distacca dal contesto; ti porta via verso lontananze che ti appartengono; ti fa entrare in uno spazio a te noto del quale conosci bene i tragitti, tanto da poterti abbandonare alle divagazioni lungo percorsi di memorie recenti e remote. E conosci le soste consuete dove ti soffermi invariabilmente, alle quali torni in un ripetuto giro di pensieri e di stati d’animo sempre uguali. O fantastichi accelerazioni di progetti sopiti che pure persegui da tempo, e li immagini realizzabili e, d’un lampo, t’appaiono ora pressoché compiuti. Riaffiorano i tratti di un volto e tornano certe parole che ti pare di ascoltare, provenienti a te da luoghi dove non sei ancora stato. Sapevano bene, un tempo, come illustrare le magie racchiuse nel fumo le compagnie che commerciavano i tabacchi, e confezionavano i pacchetti delle incantatrici sigarette. Tempi passati. Tempi messi al bando.

Oggi il tabaccaio porge al fumatore quelle attraenti occasioni, capaci di dischiudergli silenziose e trasognate pause, incartate in immagini di orrore. Riproducono ingrandimenti fotografici di organi infetti: trachee attaccate da escrescenze tumorali; alveoli polmonari ostruiti da carcinomi; tessuti piagati da lebbre irreversibili. E scritte stampate nero su bianco, a caratteri cubitali, che annunciano al tabagista fantasticatore una inesorabile morte imminente, fra atroci spasimi. Non così, un tempo, i seducenti pacchetti dagli smaglianti colori, dai nomi talvolta esotici, composti nel rispetto d’una convenuta araldica di figure evocative.

Caravelle sospinte da alisei incontaminati, gonfie le vele sulle onde del mare per le italiane Colombo ed Esportazione, per le francesi Balto, per le inglesi Senior Service, Three Castle e Traffic. Venire da lontano e andare lontano. Giungere ai palmizi e alle piramidi sul dromedario che garantisce la fornitura del “Turkish&Domestic Blend” delle Camel. Perdersi nel cielo porpora e oro con i cammellieri delle Caravan o traversare la sabbia di deserti color nocciola con l’arabo velato delle brasiliane Sheik. E viaggiare l’Egitto grazie alla “Selected Quality” delle Pall-Mall della Sultan Factory dei Przedecki Bros. Cairo London Brussels, “By Special Appointment to H.I.M. the Sultan”. Visitare il mondo assicurati dalla Manifactory M. Melachrino & C.° che ha grandi depositi, si legge sull’etichetta, al “27, Old Bond Street, London – Cairo (Egypt) – Shanghai (China) – New York, U.S.A. – Montreal, Canada”.

Affidarsi alla sensuale avvenenza, nudo il seno, della giovane nera delle italiane Africa o cedere alle lusinghe dell’olandese Miss Blanche, “Gold Leaf Virginia”, bionda, cache-col di seta bianca, giacca gialla alla cavallerizza. Nel verde salotto del pacchetto delle Locky abbiamo lasciato una fatale bruna abbigliata secondo una foggia cinese in voga nella California del cinema, protagonista femminile degna di Chandler e volteggiamo ora in una cave di Saint Germain des Prés con la danzatrice di flamenco. Agita per noi il tamburello, disegnata nel 1943 da Molusson per il pacchetto delle Gitanes che Max Ponty, nel 1947, farà accarezzare da volute di fumo giunte sull’onda di quella musica travolgente.