Salotto borghese, tende drappeggiate alle finestre. Su una poltrona siede un uomo anziano, mentre un altro, capelli, scuri, gli sta accanto, in piedi. Di fronte a loro, abito elegante sotto il ginocchio, una signorina bionda. Lo sguardo dei tre è rivolto a un quarto personaggio, maschile. Lo vediamo di spalle, indossa un cappotto, e dunque è appena entrato. Personaggio dai capelli scuri «Ieri sera ero contro di lui, Rossana, ma ora ti dico: se esiste al mondo un uomo che merita tutto il tuo amore, quest’uomo è Mauro Bonas!». Didascalia a descrivere il timido incedere di Rossana verso Mauro, che sotto il cappotto a doppio petto porta maglione, camicia e cravatta ‘In preda a un’emozione profonda, Rossana avanza verso il giovane che è apparso sulla soglia! Non una parola: solo due sguardi che si fissano nel trepido silenzio…’. Inquadratura stretta, Rossana poggia le lunghe mani dalle dita affusolate sul risvolto del cappotto di Mauro, che sfodera un sorriso un po’da pesce lesso «Mauro… Sei tu?… Non è un sogno, vero? Oh mia gioia, mia vita, mio tutto! » Abbraccio stretto, didascalia ‘Infine due gridi simultanei, appassionati!’ Gridi: «MAURO!», «ROSSANA!». E i due vissero felici e contenti? Neanche per idea. A fondo pagina, sulla destra, compare la scritta ‘continua’. Abbiamo ritrovato questo cimelio lanciando sul web la traccia ‘Trame fotoromanzi Grand Hotel’. Della vicenda di Rossana e Mauro, purtroppo, non siamo riusciti a ritrovare né copione, né titolo, né numero di puntate. Ma perché spendere tempo e affaticare gli occhi, potrà chiedersi chi adesso sta leggendo. Presto spiegato. Fino al 19 aprile, il Museo Nazionale della Montagna di Torino ospiterà la mostra ‘L’Italia di Grand Hotel. Il sogno e la montagna’, oltre settanta copertine che il settimanale della Casa Editrice Universo di Milano dedicò alle vacanze sulle cime (innevate e non) dal suo esordio, 1946, per una ventina di anni. Nelle due introduzioni al catalogo, l’attuale direttore del settimanale, Orio Buffo, e la brillante penna del pubblicitario Silvio Saffirio, fanno riemergere uno stralcio del ’900 fatto di speranze, cambiamenti, voglia di ri-vivere, che attraversavano un Paese appena uscito dall’incubo delle bombe, ma ancora affondato nella povertà e nelle disuguaglianze. Di tutto ciò si fece interprete, messaggero, narratore, Grand Hotel. Di tutto ciò siamo andati alla ricerca, partendo dai primi mesi del ’46 e da due nomi già allora importanti nell’editoria, i milanesi Alceo e Domenico Del Duca, creatori delle pubblicazioni settimanali per ragazzi Il monello (1933) e L’intrepido (1935). La coppia Del Duca ha in mente una rivista, ancora una volta settimanale e ancora a fumetti, rivolta però a un pubblico adulto, sulla falsariga del romanzo popolare. L’idea viene proposta al PCI, cui gli editori sono politicamente molto vicini. La risposta è un secco niet. Pazienza, si dicono, faremo da soli.

Nel giugno del 1946, Grand Hotel approda in edicola: 16 pagine a 12 lire, centomila copie vendute in un attimo, quattro ristampe a tempo di record. Tutto merito della copertina disegnata dal maestro Walter Molino, che raffigura una coppia assai distinta mentre si appresta ad entrare al cinema Grand Hotel, dove si proietta il film ‘Anime incatenate’ ? Di certo avrà contato molto. Però, a creare un popolo di fedelissimi in continua crescita demografica sono, fin da subito, le storie di amori, tormenti, malvagi e maliarde, ricchi senza scrupoli anche quando si tratta di togliersi un capriccio con la povera ma bella di turno, giovani ambiziosi e donne calcolatrici. Dà loro tratti, ambientazioni, caratteri, lieto fine, Molino, cui si affiancano presto Giulio Bertoletti, Aldo Torchio e Rino Ferri, quest’ultimo illustratore fisso della rubrica ‘È accaduto’. L’Italia, e Grand Hotel ne è un piccolo, evidente segnale, ha ripreso a sognare. Ma la donna sogna di nascosto, perché, tra la fine dei ’40 e gli albori dei ’50, se fuma, non è sposata, lancia sguardi giudicati troppo arditi a un ragazzo e in aggiunta legge Grand Hotel, merita diffidenza e opportune distanze. Lo ricorda Silvio Saffirio, riandando con la memoria a una sarta vicina di casa ad Alba, assai chiacchierata. Fumava, viveva da sola, girava in vestaglia sul balcone «Ma soprattutto aveva sempre l’ultimo numero di Grand Hotel. Il fascino del proibito, perché le comari baffute la censuravano. Tuttavia, nonostante le censure ufficiali, quel numero passava di mano in mano tra le donne della casa di ringhiera, sì che all’arrivo del numero più recente alcune stavano ancora leggendo quelli di 2/3 settimane prima e non volevano saperne di cosa era successo nel frattempo nella vita parallela che vivevano nel fotoromanzo». Fotoromanzo è la formula magica che spalanca definitivamente le porta del successo al settimanale della Universo. Se le copertine, e alcune altre parti di Grand Hotel, rimangono fedeli al disegno, le storie a puntate adottano, a distanza di poco tempo dalla prima uscita, l’uso della fotografia. Il fotoromanzo, invenzione tutta italiana, si avvale di vere e proprie sceneggiature, gli interni sono girati nei teatri di posa. Di quelle pagine diverranno complici nomi celebri, e protagonisti nomi ancora per poco sconosciuti. Non deve stupire, dunque, imbattersi in mostri sacri del cinema, del teatro e poi della tv, quali Claudia Cardinale, Sophia Loren, Alberto Lupo, Philippe Leroy, Maurizio Merli, Mario Valdemarin, Enzo Tortora, il Mike nazionale.

Nel 1958, un’indagine sulla lettura dei periodici rivela un quadro inaspettato. Anzitutto le cifre: quattordici milioni sono le copie vendute da pubblicazioni di attualità, femminili, a fumetti, fotoromanzi. Quasi il dieci per cento del totale se lo accaparra Grand Hotel, con un milione e duecentomila copie ogni settimana. L’indagine smentisce opinionisti e sociologi, che ritenevano il fotoromanzo lettura diffusa tra le classi inferiori per cultura e reddito, soprattutto nelle campagne del Sud, nonché appannaggio del mondo femminile. E invece, a immergersi nella pagine, c’è un buon venticinque per cento di uomini, che negli anni ’70 salirà sopra un terzo. La maggioranza delle lettrici abita a Nord e lavora in fabbrica o in ufficio. Nel 1953, su cinquecento operaie del cotonificio Mazzonis di Torino, trenta comprano L’unità, trecento Grand Hotel. Dalle colonne della rivista del PCI Vie Nuove, era il 1947, Marisa Masu ammoniva «Non scandalizzatevi se alla conferenza nazionale della gioventù comunista qualche delegata avrà Grand Hotel nella borsa. Anche per questa via le ragazze vanno verso la democrazia». Il potere di acquisto degli italiani comincia a prendere qualche consistenza. Il Miracolo Economico, muove i primi passi. Pensare a una vacanza, chimera soltanto pochi anni addietro, diviene ipotesi da non scartare. E se i cinegiornali e lo schermo della neonata televisione rimandano immagini di folle sempre più ammucchiate sulle spiagge, la montagna sembra rispondere meglio ai desideri di evasione dei giovani: natura incantevole, grandi spazi, silenzio, che aiutano a dimenticare il buio dei rifugi antiaerei, l’odore acre delle esplosioni, la polvere irrespirabile delle macerie. Annota di nuovo Saffirio «Erano piaceri semplici, ma non per questo meno pervasivi. Il senso della libertà, l’inizio della speranza. La montagna offriva spazi e inebriamento di aria pura. Era un sogno, ma anche una promessa a portata di mano. Una favola bella». Una favola bella, perfetta da raccontare sulle copertine di Grand Hotel. Se in città le regole di controllo famigliare continuano a dispensare con il contagocce l’uscita serale tra innamorati, in montagna stare a tu per tu, amoreggiare facendo gli occhi dolci risulta ben più facile da immaginare. E sono immaginazione di un sogno molto americano le ragazze ritratte in pantaloncini e pantaloni attillati, gonne di qualche audacia; che sfoggiano acconciature cotonate e occhiali da sole, che abbracciano il boy friend mentre la slitta scivola veloce lungo la discesa. Sono frutto di un sogno molto americano i ragazzi con il ciuffo stretti in un paio di jeans dal risvolto alto un palmo; oppure in maglione ampio, sciarpa di seta al collo, pantaloni e scarpe bianchi, tutto molto chic; o, ancora, in tenuta da gara, come rivelano la pettorina numerata e lo striscione ‘traguardo’ alle loro spalle. Grand Hotel fissa i momenti montani più diversi, ammantandoli di studiata ingenuità, di uno spirito giocoso, di un candore che non viene meno neppure nelle situazioni ‘piccanti’, se tali vogliamo definirle. A ciascun momento l’autore assegna un titolo consono.

‘Prologo d’amore’ immortala una coppia in un prato verde, all’ombra di un albero. Lei indossa golf leggero, gonna e scarpe basse; lui giacca e cravatta. Appena più sotto è parcheggiata una decappottabile di lusso. ‘Capitombolo sulla neve’ è cronaca di uno scontro frontale in pista, che si immagina foriero di amori ad alta quota. La ‘Sosta alla fontana’ ha per protagonista una signorina rosso chiomata alla Rita Hayworth, calzoni corti, accanto a un coetaneo zaino in spalla e boraccia da riempire. Assistono alla scenetta due bambini malandrini. Ne ‘Il maestro’, pessima figura fa l’istruttore di sci rovinando in mezzo alla neve sotto lo sguardo ironico dell’allieva. Non mancano, lo si accennava, le situazioni piccanti, o quantomeno allusive. Ad esempio ‘Idillio campestre’, dove il pastorello – fauno si profonde in avances, respinte, per ora, da una sorridente pastorella – pin up. Inclassificabile risulta ‘Sosta dell’alpino’, con il ventenne soldato che tracanna grappa da una fiasca, mentre l’innamorata, mano sull’impugnatura di un secchio colmo di latte, lo guarda interdetta. Il desiderio di pace e di spensieratezza trovano espressione su copertine che hanno per soggetto due giovani addormentati l’uno accanto all’altra nello scompartimento di un treno, seduti accanto alla stufa di una baita, a bordo di una seggiovia sopra i boschi, pronti al brindisi davanti a un pupazzo di neve su cui è scritto ‘Buon anno’. E gli anni a venire saranno buoni, anzi ottimi. Arriveranno la 600, il frigorifero, la lavatrice, la televisione, non importa se pagati a rate. Poi l’Italia entrerà nel girone infernale delle stragi di stato e di mafia; conoscerà il terrorismo, la morsa di tante crisi economiche, la corruzione del sistema politico. Impermeabili a tutto ciò, le copertine disegnate di Grand Hotel continueranno per lungo tempo nel loro compito di far sognare. Nonostante la realtà sia sempre più avara di illusioni. Anzi, forse proprio ed esattamente per questo.

BOX Museo della Montagna

La mostra chiuderà i battenti il 19 aprile. Raccomandato l’acquisto del catalogo a colori, 96 pagine, 15 euro. Per informazioni su orari e costi, museomontagna.org. A pochi passi dal centro, in cima al Monte dei Cappuccini, il museo offre una splendida panoramica su Torino e su una vasta porzione delle Alpi. Lo scorso anno ha compiuto 130 anni, tanti ne sono passati da quando nacque l’idea tra i primi soci del Club Alpino Italiano. A ridosso del 2000 sono stati effettuati una serie di interventi sostanziali, che ne hanno fatto una struttura moderna, sia negli allestimenti che nel percorso. Un ascensore porta alla terrazza, dove si conclude la visita, scandita pensando alle origini del museo come punto di osservazione delle montagne. Di piano in piano, si compie una sorta di ascensione tra le colline e le cime che fanno da corona alla città. I temi esposti in maniera permanente riguardano turismo e alpinismo, spedizioni, sport invernali con un occhio di particolare attenzione verso lo sci, religiosità, sviluppo sostenibile, comunicazioni, storia del CAI. Altri spazi sono destinati a mostre temporanee, tra le quali va ricordata quella del 2013, dedicata ai reportage fotografici di Fosco Maraini d

realizzati durante i suoi numerosi viaggi sull’isola giapponese di Hokkaido, tra la popolazione degli Ainu. Nel museo trovano collocazione anche un Centro di documentazione, una cineteca, un’area incontri. Per coloro che amano concludere la visita sedendosi a tavola, c’è il ristorante riservato ai visitatori e ai soci del Club Alpino Italiano. Menu e cantina di rigorosa osservanza piemontese, tavoli all’aperto protetti da ombrelloni durante il periodo estivo. Nel caldo afoso di luglio, una cena qui aggiunge il piacere della frescura a quello del buon cibo. In inverno, la presenza del legno ai soffitti rende le sale particolarmente accoglienti. Il ristorante è chiuso la domenica a cena e tutta la giornata di lunedì. Per prenotazioni, 011/66003012 (l. d. s.)