Sorpresa. Fuori dall’ordine del giorno, è entrato nel consiglio dei ministri di ieri mattina il decreto che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti. Sorpresi anche i ministri, almeno quelli che non hanno adeguato il fuso orario alle riunioni di segreteria del Pd: la notizia cinguetta alle 9.08 e la firma direttamente Enrico Letta.

Il pensierino è soprattutto per Matteo Renzi: a questo punto la sua sgamatissima sorpresa di domani sorprenderà ancora meno. Dall’assemblea di Milano, un attimo dopo l’incoronazione, il segretario annuncerà la rinuncia alla quota di finanziamento del Pd per il 2014 – confermata nel nuovo decreto. Letta si è portato avanti scrivendo che tra tre anni il finanziamento sarà azzerato (diminuirà del 25% ogni anno rispetto al 2013). La competition è giocata sulle ore, e amplificata dalle rivendicazioni via twitter. A Letta che si esalta per aver mantenuto «una promessa» rispondono i renziani, raccontandola così: ora che c’è Matteo i risultati arrivano.

La propaganda però vale per tutti e così twittano anche Quagliariello e Alfano, in diretta dal consiglio dei ministri, preoccupati loro di rispondere agli ex amici di Forza Italia che li sfottono assai. «E una è andata: abolito il finanziamento pubblico dei partiti» esulta il ministro delle riforme dalle gradinate di palazzo Chigi, più veloce di un ufficio stampa. «In Cdm abbiamo appena abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Per decreto. Impegno mantenuto» arriva con un attimo di ritardo Alfano, magari perché firmava l’atto mentre twittava. Poi tutti in coro i cinque ministri post berlusconiani dichiarano: «Abbiamo rispettato un altro punto del programma di centrodestra». Pensano così di far dispetto a Renzi, ma magari si illudono.

Il finanziamento pubblico ai partiti sarà sostituito da quello privato, fino a un massimo di 300mila euro l’anno per singolo finanziatore. L’eventuale eccedenza però non sarà confiscata, solo conteggiata in diminuzione per gli anni a venire. Il tetto è comunque troppo basso per Forza Italia, che strilla alla legge contra personam, Berlusconi essendo abituato a staccare assegni per il suo partito nell’ordine dei milioni. Proprio lo scontro sulla soglia massima ha ritardato l’approvazione della legge alla camera: Letta l’aveva promessa ad aprile e consegnato un testo a giugno; i berlusconiani pretendevano che non ci fossero limiti; il Pd spingeva, almeno all’inizio, per fissare il tetto a 100mila euro. E così la legge è stata approvata a Montecitorio solo a metà ottobre. Negli ultimi 40 giorni la prima commissione del senato non è riuscita a fare granché per via della legge di stabilità e perché impegnata a frenare la nuova legge elettorale, anche in questo caso in ossequio alle preoccupazioni dell’esecutivo. Ieri Letta ha fatto il bel gesto.

La sostanza è un nuovo sgarbo al senato, dopo quello dell’altrieri sulla legge elettorale. Palazzo Madama infatti avrebbe cominciato a giorni l’esame del testo e poteva approvarlo a gennaio. Il decreto, invece, anche se immediatamente in vigore, avrà bisogno di 60 giorni per essere convertito o, chissà, modificato (partirà, bontà loro, dal senato). Ai partiti è richiesto di dotarsi di statuti – e anche Grillo lo ha già fatto – per verificare i quali (dovranno assicurare la parità di accesso alle cariche elettive) nascerà presto una nuova commissione. Per il resto il testo è quello approvato alla camera: in pratica l’esecutivo anticipa la riforma costituzionale, spogliando il senato di ogni ruolo politico. E regalando una legge ad alto tasso di demagogia, dove i requisiti di «necessità e urgenza» previsti per i decreti latitano: la nuova disciplina andrà a regime tra tre anni. Ma certo rispondere a Matteo Renzi era urgente.

Accanto al ruolo centrale del finanziamento privato (che secondo l’opinione esperta di Berlusconi ci riporterà a Tangentopoli), è prevista la contribuzione indiretta dello stato attraverso il meccanismo del 2 per mille (ma solo per chi ha parlamentari eletti). I conti sono facili: a un partito servirà trovare contribuenti per almeno 500 milioni di euro, e convincerli tutti a destinare la loro quota di Irpef, per bilanciare una sola regalia di qualche riccone alla formazione politica concorrente. Per tacere dei soldi che passano attraverso le fondazioni personali di questo o quel leader. Un bel modo per avvicinare i partiti ai cittadini, non c’è che dire.