Sui ghiacci eterni, anche i cani avevano la croce al collo
Antropologi Era il gennaio del 1922 quando il futuro padre della moderna eschimologia incontrò, su un’isola del Bacino di Foxe, lo sciamano degli Iglulingmiut: «Adua», da Adelphi
Antropologi Era il gennaio del 1922 quando il futuro padre della moderna eschimologia incontrò, su un’isola del Bacino di Foxe, lo sciamano degli Iglulingmiut: «Adua», da Adelphi
«E’ una scoperta che non smette di sorprendere – scrive il dano-groenlandese Knud Rasmussen, futuro padre della moderna eschimologia – il fatto che davvero, nella nostra rapidissima epoca, ci si può trovare di fronte a persone che sembrano appena uscite dalla mano della natura». Era il 1910 e il grande esploratore aveva appena fondato, insieme all’amico Peter Freuchen, la stazione commerciale «Thule», sull’estrema punta occidentale della Groenlandia, a Capo York.
Nato a Jakobshavn o Ilulissat, la «città degli iceberg», Rasmussen era figlio del pastore locale, la bisnonna della madre era groenlandese e le tradizioni del suo popolo in famiglia non erano state dimenticate. Rasmussen parlava la lingua degli Inuit e sapeva governare perfettamente la slitta trainata dai cani, con la quale avrebbe ripercorso il passaggio a Nord-Ovest solcato da pochi anni, per la prima volta, dal norvegese Roald Amundsen.
I materiali raccolti
A partire dal 1912 Rasmussen avviò una serie di esplorazioni, le cosiddette «Thule», ma è stata quella compresa fra l’estate 1921 e il dicembre 1924 a consegnare il suo nome alla storia. Attraversò il Canada artico, partendo dalla Groenlandia fino all’Alaska, accompagnato da sei Inuit di Capo York e da un gruppo di studiosi: l’inseparabile amico Peter Freuchen, cartografo e naturalista, l’archeologo Therkel Mathiassen, l’etnologo e geografo Kaj Birket-Smith, due assistenti scientifici, Helge Bangsted e Jakob Olsen e, dal 1923, il fotografo Leo Hansen.
Sembrava l’entusiasta brigata nordica che nel 1761 lasciò il porto di Copenaghen alla volta dell’Arabia Felix, la prima grande spedizione scientifica danese dalla quale fece però ritorno solo il cartografo Carsten Niebuhr, la cui vicenda sarebbe poi stata raccontata dal giornalista danese Thorkild Hansen nel 1962 in Arabia Felix, appunto, un romanzo che ha fatto la storia della letteratura danese. Ma la spedizione di Rasmussen ebbe un esito positivo: gli oltre 20.000 oggetti raccolti tra le popolazioni Inuit del Canada artico, le centinaia di foto e i disegni non finirono dimenticati nei sotterranei degli istituti scientifici di Copenaghen, come le casse che i botanici, i naturalisti e cartografi del Settecento avevano inviato in patria dallo Yemen.
Il materiale documentario raccolto da Knud Rasmussen è tuttora visibile presso la Raccolta Etnografica del Nationalmuseet di Copenaghen, insieme a 5500 pagine di studi, più due corposi tomi dal titolo Fra Grønland til Stillehavet (Dalla Groenlandia al Pacifico), editi in danese nel 1925-26 e usciti in versione ridotta per un pubblico più vasto nel 1932 con il titolo di Il grande viaggio in slitta, di cui esiste una traduzione italiana del 2011 a cura di Bruno Berni per Quodlibet.
Della straordinaria V Spedizione Thule, un discorso a parte merita l’escursione compiuta da Rasmussen insieme a due Inuit attraverso Canada e Alaska, fino a toccare rapidamente il continente asiatico, dove gli furono negati i permessi per sostare nel territorio sovietico. Abbandonata temporaneamente la base comune, «il mantice», a Danish Island, da dove partivano le diverse puntate dei membri della spedizione intorno alla Baia di Hudson, Rasmussen volle entrare in contatto con tutte le tribù Inuit conosciute, per studiare le analogie tra la cultura che coltivavano in Groenlandia e quella diffusa nel Canada, separate da una migrazione di quasi un millennio. È in questa circostanza che avvenne l’incontro con lo sciamano Aua, prima e dopo la sua conversione al cristianesimo, una vicenda raccontata attraverso scelte di brani elegantemente tradotti (tratti dai due tomi di Dalla Groenlandia al Pacifico) in Aua (traduzione e introduzione di Bruno Berni, Adelphi, pp. 190, € 18,00).
Un incontro in due fasi
L’incontro con lo sciamano della tribù degli Iglulingmiut, su un’isola del Bacino di Foxe, si svolse in due fasi: la prima nel gennaio del 1922, quando Aua era ancora fedele alla sua tradizione e operava come sciamano, la seconda esattamente un anno dopo, quando aveva «congedato i suoi spiriti ausiliari» e sugli igloo dell’accampamento di caccia della tribù sventolavano tante bandiere bianche, simbolo della rinuncia all’antica religione pagana in favore della «fede del cielo». Grazie ad Aua, ora emancipato dai suoi spiriti e dunque disposto a rivelare quei segreti che aveva considerato in passato troppo sacri, Rasmussen raccolse il materiale orale più completo che esistesse fino ad allora sulla cultura sciamanica, nel momento della transizione tra due epoche e due culture, formando la base di ogni studio successivo sullo sciamanesimo, in primo luogo quello di Jean Malaurie negli anni Cinquanta.
Rasmussen nota con stupore come un popolo costretto più di altri a occuparsi quotidianamente del problema dell’alimentazione – gli episodi di cannibalismo nei periodi di carestia dovuta al gelo, per quanto esecrati dagli Inuit erano frequentissimi – sia tuttavia votato a coltivare una profonda spiritualità: «ciò avviene – annota – sempre partendo dall’incantevole spontaneità posseduta da chi è costretto a basare le proprie teorie sulle parole vive che gli sono state tramandate».
In un incontro ricostruito da Zacharias Kunuk e Norman Cohn nel 2006 per la Igloolik Isuma Productions nel film The Journal of Knud Rasmussen, Rasmussen dichiara: «Nonostante tutti i nostri sciamani, siamo così ignoranti che abbiamo paura di tutto ciò che non conosciamo». Nel corso del secondo incontro con Aua, verrà accolto da «un povero inno cantato da persone che, in cerca di una verità, avevano trovato qualcosa che aveva senso per la loro vita». La rapida conversione degli Inuit al Cristianesimo dà vita a una forma di culto ibrida: «Lo stato di natura fa di loro dei poeti, senza che loro stessi lo sappiano, e questa carenza di ortodossia acquisita dona alla loro rappresentazione l’infantile fascino che rende credibile il mistero». Questa stessa forma di culto è stata raccontata di recente dal dano-norvegese Kim Leine nel suo grande romanzo Il fiordo dell’eternità (Guanda, 2013), dove le certezze dogmatiche di un pastore danese inviato in una colonia groenlandese alla fine del Settecento, si dissolvono in quella religiosità primordiale, promiscua e visionaria che il cristianesimo assume, trarformandosi, presso una coppia di Inuit convertiti e divenuti nuovi profeti.
Le altre missioni
Rasmussen nota che i racconti biblici sono accolti nello stesso modo letterale delle leggende pagane; e «come in passato era uso proteggere persone e animali dalle sventure grazie alla forza nascosta degli amuleti, così adesso era considerato naturale mettere il crocifisso al collo anche ai cani». La celebre V Spedizione Thule, al limite del mondo, non fu l’ultima di Rasmussen: tra il 1931 e il 1932 furono organizzate altre due missioni, ma nel 1933, nel corso della VII Thule l’esploratore contrasse una infezione allo stomaco che lo condannò a una morte precoce.
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