«Arabi, musulmani dove siete. Arabi, musulmani dove siete» scandivano ieri le migliaia di palestinesi che hanno partecipato ai funerali di 14 delle 16 vittime del tiro al bersaglio dai cecchini dell’esercito israeliano durante la Grande Marcia del Ritorno organizzata due giorni fa nel Giorno della Terra. «Non ci aspettiamo nulla dagli occidentali ma il silenzio dei Paesi arabi non lo accettiamo» spiegava ieri Amjad durante i riti funebri. Amjad invece ripeteva che «la marcia era pacifica» e che «Israele un giorno sarà punito». Rabbia, dolore, amarezza segnano in queste ore lo stato d’animo dei palestinesi, non solo a Gaza. In Cisgiordania ieri si è fermato un po’ tutto in segno di lutto: negozi, attività lavorative, gran parte dei trasporti. A Hebron e alla periferia di altre città palestinesi gruppi di giovani hanno scaricato la loro rabbia scagliando pietre verso le camionette israeliane. Alla Porta di Damasco di Gerusalemme Est agenti dei reparti antisommossa della polizia hanno disperso un raduno di un centinaio di palestinesi, in gran parte donne.
In queste ore si teme per la vita di non pochi dei 773 palestinesi che venerdì sono stati colpiti dai proiettili sparati dai tiratori scelti israeliani. Altri 148 sono stati feriti da munizioni rivestite di gomma, 422 sono rimasti intossicati dai gas lacrimogeni (lanciati anche dai droni) e altri 88 per cause diverse. Altri dieci palestinesi sono stati feriti ieri. «I morti sono tutti giovani, tra i 17 e i 35 anni. Ci sono feriti molto gravi raggiunti all’addome e al torace che lottano tra la vita è la morte. Chi è stato colpito a una gamba o a un braccio può dirsi fortunato ma solo in parte perché i proiettili hanno lacerato muscoli e distrutto vasi sanguigni», ci spiegava ieri Ashraf al Qidra, portavoce del ministero della sanità a Gaza. I palestinesi gridano al massacro, pianificato, dicono, con giorni di anticipo da Israele che ha preparato l’opinione pubblica mondiale descrivendo la marcia a Gaza come una strategia volta a «compiere atti di terrorismo» e a colpire le cittadine e i kibbutz ebraici oltre le barriere di demarcazione. Per questo continuano a postare sui social filmati e foto che mostrano ragazzi colpiti dai cecchini lontano dalle postazioni militari. Il caso più limpido è quello di Abdel Fattah el Nabi, 18 anni, ucciso con un colpo di grande precisione mentre torna dai suoi amici con in mano un vecchio pneumatico da bruciare. L’esercito israeliano, denuncia il centro al Mezan, almeno fino a ieri sera non aveva ancora consentito ai soccorritori di entrare nell’area di Jahr al Dik, nel Wadi Gaza, dove si troverebbero due dimostranti, Mohammed Al Arabiyeh e Musab Al Saloul, rimasti feriti gravemente o forse morti.
Da Israele giungono due condanne della brutalità dell’esercito – del Centro per i diritti umani B’Tselem e della nuova leader del partito Meretz, Tamara Zandberg – mentre la reazione internazionale che i palestinesi si aspettano contro Israele non c’è stata, per non parlare del silenzio dell’Arabia saudita e delle altre monarchie del Golfo impegnate a stringere dietro le quinte relazioni militari e strategiche con Tel Aviv. Il segretario generale dell’Onu Guterres ha chiesto una «indagine indipendente e trasparente» sui morti di Gaza ma il Consiglio di Sicurezza venerdì notte si è limitato a chiedere alle parti in conflitto di evitare altre violenze. Gli Stati uniti frenano all’Onu sulla condanna di Israele e dall’Europa arrivano dichiarazioni di routine che non spostano di un centimetro la situazione. «L’Ue ribadisce la richiesta di porre fine alla chiusura di Gaza e di aprire pienamente i varchi, affrontando i legittimi timori di Israele per la sicurezza…Una soluzione politica per Gaza e una ripresa dei negoziati di pace verso una soluzione a due Stati sono l’unico modo per i palestinesi e gli israeliani di vivere fianco a fianco in pace e sicurezza», sono le solite frasi riciclate per l’occasione dalla “ministra degli esteri” dell’Ue, Federica Mogherini.
La popolazione di Gaza non accetta più di vivere nel blocco asfissiante in cui è tenuta da Israele con la collaborazione dell’Egitto e al quale contribuisce il presidente dell’Anp Abu Mazen che con le sue “sanzioni punitive” danneggia solo la popolazione civile. E mentre i media, inclusi alcuni giornali italiani, si affannano a riferire di un “piano” di Hamas per invadere Israele, per affossare Abu Mazen e parlano di “guerriglia” sul confine, si tace intenzionalmente che durante la Grande Marcia del Ritorno gran parte dei circa 30mila partecipanti hanno invocato la fine dell’assedio e l’inizio di una vita finalmente libera. All’orizzonte intanto c’è l’ombra di nuova guerra. «Se la violenza (le proteste palestinesi, ndr) continuerà lungo il confine di Gaza, Israele espanderà la sua reazione fino a colpire i militanti anche al di là della frontiera» ha avvertito il generale Ronen Manelis, portavoce militare israeliano.