È possibile scrivere una Storia reale della nostra epoca, o anche solo di un paese, o di una cultura? E se fosse possibile, potrebbero mai riuscire in un’impresa così titanica due giovani artisti indiani, sfruttando la fiction interattiva? Infine, questi due coraggiosi creativi potrebbero, incidentalmente, rivoluzionare la percezione collettiva sul medium videoludico, generalmente considerato solo come luogo di sfogo di istinti e pruriti bestiali? Le risposte a tutte queste domande si trovano in un breve, splendido manifesto artistico, pubblicato da Dhruv Jani e Sushant Chakraborty in occasione dell’EyeMyth Festival di Mumbai, sotto il coraggioso, pomposo e spavaldo nome di «La fiction concentrica e la Storia giusta».

I due fondatori (nonché unici membri) dello Studio Oleomingus sono giovani, ma hanno le idee chiare: intendono usare l’ipertesto per perforare la memoria storica, e renderla sopportabile per i più deboli, i poveri, gli oppressi. Ma cos’è l’ipertesto, per Studio Oleomingus? Non è altro che «il palco sul quale viene recitato il teatro delle nostre vite pubbliche, ed è il modo in cui le nostre performance vengono ricordate. È la promessa che nessun dato è isolato, nessuna minuscola informazione introvabile». In poche parole, l’ipertesto è tutto ciò che sottosta ai testi, alle moderne pellicole cinematografiche, ai videogiochi, alle foto sui social, ai post di Facebook e alla cartellonistica stradale: l’ipertesto di Oleomingus è la forma base della comunicazione.

E quando è l’ipertesto stesso a essere controllato da pochi narratori, è necessario spezzare la dittatura del testo scritto e liberare democraticamente il potenziale espressivo di tutti. C’è bisogno «di una storia pirata dei nostri tempi, ed essa può essere scritta solo come ipertesto», perché può sopravvivere solo diventando forma base della comunicazione, senza semplicemente adagiarsi su quella dominante. Ma se bisogna usare l’ipertesto, perché allora usare la fiction interattiva, il videogioco, piuttosto che l’hacking o il coding? Perché il linguaggio videoludico è caratterizzato da una democraticità assente nelle altre forme di comunicazione mainstream, dato che l’autore coincide, sempre o in parte, con chi gioca. Il narratore, l’attore e l’audience si fondono nella figura del giocatore, che persino nei casi di storie spezzate, incomplete o frammentarie può intervenire, aggiungendo, ipotizzando e immaginando cosa può riempire quei vuoti, e quindi implicitamente riconoscendone i meriti. Come sottolineano i due artisti, non è forse nel luogo in cui il racconto era orale e popolare che nacque la democrazia? Cos’è Omero, oggi come ieri, se non il simbolo di un popolo intero, che interpretava, modellava, mescolava e cambiava miti, storie e significati, di isola in isola, di villaggio in villaggio? Millenni dopo, ecco che il videogioco, forte della sua fluidità di significati e del suo insito rifiuto del dominio dell’autore (e dell’autorità), trasforma racconti autoriali in canti collettiva, si fa esperienza popolare, condivisa oggi su Twitch come ieri intorno al falò.

Curiosi di sapere cos’è nato da questo manifesto? Le opere interattive di resistenza di Studio Oleomingus vi attendono online, gratis, pronte a farvi autori, attori, spettatori.