Patrizia Converino da molti anni porta avanti il marchio del famoso studio milanese che ha rivoluzionato tra gli anni ’70 e ’80 il campo della grafica, a cominciare dalla mitica trasmissione Mister Fantasy, la prima a lanciare la “musica da vedere”.

Il nome dello Studio Convertino è indissolubilmente legato agli anni ’80 poiché in quel decennio si è inventato uno stile molto personale che ha lasciato un’impronta decisiva nel mondo della grafica italiana. E’ il decennio di una trasmissione televisiva come Mister Fantasy, che ha rappresentato non solo un punto di rottura nel campo televisivo e musicale (l’avvento del videoclip made in Italy), ma anche una piccola rivoluzione sotto il profilo della videografica, della progettazione di un’immagine mediatica complessiva. Il marchio e lo stile Convertino non va tuttavia legato unicamente agli anni ’80, ma copre un arco temporale che attraversa gli anni ’70 e arriva fino ad oggi.

Puoi tracciarci un breve ritratto umano e professionale di Mario Convertino?

Non c’era differenza tra il Convertino designer e il Convertino uomo. Era una persona coerente con il suo atteggiamento di vita e di creazione. La concezione di un’idea non aveva limiti di tempo e di luogo. Inoltre era stacanovista e testardo, pur di raggiungere un obiettivo a ogni costo.

Quanto ha influito il contesto milanese agli inizi dell’attività? Parlo non solo dell’ambiente della grafica, ma di quello culturale nel suo complesso.

Molto. A Milano negli anni ’70 c’era un fermento unico, con i migliori creativi italiani. Era un luogo di confronto internazionale, con diverse influenze musicali, dalla sperimentazione al punk. E poi c’era la pubblicità, la moda, i videobar, le videoinstallazioni, le performance, gli artisti che aprivano i loro studi, gruppi di lavoro che si frequentavano.

Chi erano i creativi con cui eravate maggiormente in rapporto in quegli anni?

Ovviamente Gianni Sassi, poi fotografi come Roberto Masotti, Guido Harari, Ilvio Gallo, Cesare Monti. Credo che il periodo di maggior condivisione creativa ci sia stato quando Mario era art director di riviste come “Gong” e “Re Nudo”.

I modelli di Mario in campo grafico?

Milton Glaser e Bob Noorda, che ha conosciuto a Milano poiché chiamati da industriali illuminati. Poi naturalmente Bruno Munari, con cui condividevamo l’atteggiamento ludico e ironico della creatività e le teorie estetiche: Mario lo ha frequentato in quegli anni, mentre io l’ho incontrato più avanti, comprando anche alcuni suoi oggetti. Tra i più giovani sicuramente figure come Neville Brody e David Carson.

E poi sono venuti gli anni ’80.

Nel 1981 abbiamo iniziato a lavorare per Mister Fantasy. E’ stato uno spartiacque per il mondo creativo, poiché una videografica del genere non si era mai vista: i sottopancia, gli effetti che creavamo sulle immagini di ripresa. Mario con le sue copertine, improntate sulla tecnologia, ha svecchiato molto la grafica. Le cover dei Krisma o dei Saga o di album come Seni e coseni di Ivan Graziani, anticipano l’immagine al computer anche se in modo artigianale. E’ un vero peccato che Mario se ne sia andato prima di poter utilizzare il web, si sarebbe divertito molto, lui che ha avuto per primo il fax in auto e viveva a pieno il suo essere uomo del ’900, dinamico e futurista.

Il medium televisivo ha molto influito sullo stile Convertino.

Assolutamente si. Mario era abituato all’estrapolazione dei frames, magari girava delle immagini in super 8 e poi prendeva un fotogramma, lo trattava, lo manipolava. Gli piaceva anche la ricerca delle irregolarità, come la linea di scansione dell’immagine elettronica. Lavorava sul difetto, sulla distorsione. Avrebbe voluto tutto il giorno essere circondato da monitor televisivi, da proiezioni sulle pareti.

Mi fa pensare a Mario Schifano che aveva nella sua casa-studio decine di televisori sempre accesi…

E infatti Mario adorava Schifano, con il quale ha collaborato per una serie di pubblicità della Stet, elaborando alcuni suoi disegni. Purtroppo in archivio non c’è rimasto nulla di quell’esperienza.

Peccato. Un altro artista con cui avete lavorato è Fabrizio Plessi.

Paolo Giaccio ci aveva commissionato il progetto visivo complessivo di Imagina. Rispetto a Mister Fantasy avevamo voglia di creare un immaginario legato a Roma e così nella sigla abbiamo inserito la fontana di Trevi e la videocamera, seguendo la traiettoria di una moneta gettata in acqua, guidava lo spettatore nei meandri sottomarini. Abbiamo chiamato Plessi e lui si è subito appassionato alla nostra grafica e all’uso del lettering per valorizzare le sue opere. In seguito ci fece fare un’installazione video al Palazzo dei Diamanti di Ferrara.

Avete girato anche dei videoclip, insieme ai Krisma ad esempio.

Mario avrebbe voluto farne di più, ma non c’è stata la possibilità. Anche in quel campo eravamo più avanti degli altri. Il problema è che a noi piaceva un visual dallo stile molto grafico e pop, mentre spesso volevano solo video patinati, con gli artisti che apparissero “belli”, così ci siamo dedicati più alla televisione.

Quali erano gli elementi basilari che caratterizzavano quel tipo di visualità?

Il gusto della tipografia classica e sperimentale al tempo stesso: Mario amava il Bodoni, ma anche Times e Garamond, modificati inspessendo le grazie o eliminandole del tutto. E poi uno stile alla Kandinsky, anche se poi si è un po’ stancato di essere riconosciuto solo per i triangoli e gli altri elementi geometrici alla Mister Fantasy. Voleva fare altre esperienze, ma sempre con l’idea che la grafica dovesse essere dinamica.

Parliamo un attimo delle tecniche e delle macchine che utilizzavate.

Il primo computer che abbiamo usato nel 1981 era assemblato dalla Rai e Tesak, si interfacciava col mixer video e potevi lavorare con il chroma-key creando scenografie virtuali. Poi abbiamo usato l’Harry, il Paintbox, il Mirage. Alla fine degli anni ’80 abbiamo cominciato a lavorare con le postazioni Mac, solo che essendoci problemi di interfaccia, prima realizzavamo la grafica sul Mac, quindi stampavamo su carta, poi rifilmavamo i fogli animandoli in stop-motion e infine ritrasferivamo tutto su computer.

Il vostro studio ha realizzato numerose copertine per dischi. Il vostro rapporto con i musicisti?

Era come una factory, c’erano tempi lunghissimi, su una copertina potevamo anche starci mesi. Le case discografiche all’epoca erano grandi famiglie. Si incontravano gli artisti, li si frequentava. Potrei raccontarti molti aneddoti legati alla realizzazione dei dischi. Bisognerebbe ritornare a quel tipo di processo creativo collettivo.

Cosa è cambiato oggi?

Il tempo si è ridotto, si fa tutto di corsa, al telefono, non ci fanno neppure ascoltare i brani per ispirarci. C’è ancora una base dove puoi mettere il tuo segno, stravolgere una foto, ma il contesto è predefinito. In altri campi siamo nelle mani di agenzie, schiavi di tempi, costi e consegne. E’ sempre più difficile avere un rapporto diretto col cliente, il quale a sua volta si insinua nel nostro lavoro creativo con i suoi capricci e le logiche del marketing. E’ una magia riuscire a centrare l’obiettivo e accontentare tutti.

Quali sono le copertine del vostro studio che tu ritieni più significative o che comunque vi hanno dato soddisfazioni all’epoca?

Sicuramente quelle dei Krisma, come Hibernation, Clandestine Anticiption o Cathode Mamma; Seni e Coseni, Ivan e Pigro di Ivan Graziani; Una giornata uggiosa di Battisti, Sotto il segno dei pesci e Buona Domenica di Venditti, Roccando rollando, Finardi e Secret Streets per Eugenio Finardi; California di Gianna Nannini; Clic di Battiato; Buona fortuna e Stop dei Pooh. E poi ancora le copertine per la PFM, Pino Daniele e tutti i primi dischi di Teresa De Sio. E molte altre.

Come avete vissuto il passaggio dal vinile al CD?

Male. Ci hanno tolto uno spazio di vita e questa riduzione ha portato alla morte delle copertine. Solo adesso si è scoperto che il vinile è l’unico modo per vendere la musica, perché l’oggetto resta importante. Il packaging è l’anima del prodotto mentre con il CD si era persa.

Quali sono gli altri campi ai quali vi siete dedicati negli ultimi anni?

Oggi realizziamo moltissime sigle, video emozionali che servono per internet o a uso interno delle agenzie, mini-spot per presentare nuovi prodotti. Attualmente stiamo seguendo una linea vegana e quindi siamo entrati nella grande distribuzione (etichette, illustrazioni, ecc.). Ci piace applicare il nostro immaginario a qualsiasi cosa, anche al cosiddetto design “mass market”. Ora siamo in una fase in cui ci piace progettare spazi, fondere tipografa, video e design.

In generale nutri ancora interesse per il mondo dell’audiovisivo?

Si assolutamente. Mi piace molto la regia e mi avvalgo di collaboratori esterni che sappiano fare riprese funzionali al trattamento grafico, consentendomi di appropriarmi delle immagini filmate. Rispetto al passato siamo più indipendenti tecnicamente e quindi non soffriamo più la frustrazione di spiegare ad un operatore il gusto e la sensibilità grafica più intima e personale, importante per il risultato finale.

Cosa ti manca più di Mario e cosa ha rappresentato raccoglierne l’eredità?

Mi manca molto l’estro di Mario, la sua creatività, il momento della ricerca e del gioco. E’ diventato tutto più serio, ma non so se perché non c’è lui o perché è il sistema a essere cambiato. Ad ogni modo poco alla volta è emersa la mia personalità e ho introdotto un linguaggio un po’ diverso. Mario aveva un gusto bidimensionale, di derivazione tipografica. Io ho perseguito la tridimensionalità. Non voglio dire che con Mario non ci fosse, ma in Immagina o in Mister Fantasy era ottenuta da ombre e da effetti ottici.

Nel vedere oggi i lavori dello studio si ha l’impressione di un caos grafico.

E’ uno stile è ricco, complesso ma non caotico, è basato sull’idea di aggiungere strati a seconda dell’emozione che si vuole creare. E’ una complessità voluta e calcolata per lasciare all’osservatore la possibilità di cogliere particolari nuovi non visti prima. E’ una costruzione escheriana dell’immagine secondo le regole delle trasformazioni geometriche con rotazioni, riflessioni, traslazioni di piani e asimmetrie. Lo chiamerei un flusso di immagini a ritmo sonoro.