Una Virginia Woolf ansiosa per l’accoglienza a Jacob’ s Room appena uscito, annota nel diario: «…una lettera da Desmond ‘Non hai mai scritto così bene’… due, Bunny telefona entusiasta, dice che è superbo, la mia cosa migliore, di grande vitalità e sicurezza: dice anche che lui ne prende 36 copie, e che la gente già lo ‘reclama’. Questo non è confermato dalle altre librerie … oggi ho venduto meno di 50 copie…» ( 17 ottobre 1922). Bunny, ossia Coniglietto, è David Garnett, così chiamato da quando, bambino, si era fatto un cappottino di pelle di coniglio. Gestiva una libreria in Gerrard Street, vicino all’allora Reading Room del British Museum, dove i Gerrard si tramandavano incarichi dirigenziali; il bisnonno Richard Garnett (1835-1906) ne era stato un famoso direttore, oltre che originale autore di un conte mythologique, da me curato in italiano (Il crepuscolo degli dei, La Scuola di Pitagora, 2005). Bunny insieme a Francis Meynell fondò la preziosa Nonesuch Press, memorabile nel decennio 1920-’30 per le eleganti edizioni di classici inglesi, e scrisse una quarantina di libri di argomento vario. Adelphi ha pubblicato Il ritorno del marinaio (1984), Aspetti dell’amore (’91), diventato film per la regia di Gale Edwards nel 2005, Un uomo allo zoo (’93). Morì nel 1981, quasi ottantenne.
Irresponsabile, narcisista, sempre impegnato in amori coniugali o extra, gay o etero, inesauribile nella fantasiose giustificazioni, sorprendente nelle assurde pretese. Persino la sua amica biografa Sarah Knights (Bloomsbury’s Outsider. A Life of David Garnett, 2015) è sopraffatta dalla sua sfacciataggine. Era stato introdotto tra i Bloomsberiani da quell’irresistibile cupido che fu Duncan Grant. Nella guerra del ’18, entrambi obiettori di coscienza, si trovarono a raccogliere mele nella campagna inglese. A quarantasei anni Bunny sposò Angelica Bell di ventisei, figlia dell’ex amante e di Vanessa, l’avventurosa sorella di Virginia. Non stupisce che sia Bunny a ricordare il riso imbarazzante di Virginia in certe occasioni: «…l’eccitamento arrivava all’improvviso mentre visualizzava quel che diceva, e la sua voce gracchiava come quella di un ragazzino, su una nota più alta. E in quella alta nota stridula si sentiva il divertimento e il piacere di vivere» (dal secondo volume di memorie, Flowers of the Forest, 1955).
Chi non sia disposto a morire con un amore in extremis tornato tra le sue braccia – che l’amato in questione sia umano o animale, gatto, cane, volpe, un cocchiere chiamato Hopkins, non fa differenza – costui/ei non tenti di capire il capolavoro di Bunny, un conte fantastique romantico quanto un Lied, pubblicato nel 1922, un successo immediato: La signora trasformata in volpe (traduzione di Silvia Pareschi, con dodici illustrazioni della prima moglie R. A. Garnett, Adelphi «Fabula», pp. 109, € 15,00). È lui stesso a metterci in guardia: «Non molto tempo fa, ho incontrato una persona che, dopo avermi parlato per un po’ senza sapere chi fossi, mi ha detto che David Garnett era morto, ucciso dal morso di un gatto che aveva torturato. Del resto viveva da tanto tempo alle spalle dei suoi amici che non lo sopportavano più, e il mondo non avrebbe sentito la sua mancanza».
Bunny è beffardo per natura, quindi non ci sorprende che i due strazianti protagonisti si chiamino Mr e Mrs Tebrick, qualcosa come signore e signora Teiera; lei però da ragazza era Miss Silvia Fox, una premonizione di quel che sarebbe accaduto. Come aveva detto Schopenhauer la nostra essenza umana risiede nella specie, soprattutto per la donna, più che nell’individuo, e la specie è fondamento intimo della nostra coscienza, sottratto al principium individuationis. Non stupisce perciò quel che accadde.
Un giorno mentre i due sposini passeggiavano sulla collina boscosa sopra Rylands, si udì il corno del cacciatore, l’abbaiare della muta, e Silvia si staccò violentemente dalla mano del marito. Lui si voltò, e al posto della moglie vide una piccola volpe rossa. Lei lo fissava implorante. Lui sbigottito la prese in braccio. «La volpe gli si strinse al petto, rannicchiandosi sotto il soprabito, e cominciò a leccargli il viso senza mai smettere di guardarlo negli occhi». Mr Tebrik prese in mano la situazione, preoccupato di salvare la sua volpe da possibili pericoli: eliminò i due cani, congedò la servitù; se ne stavano chiusi in camera da letto a bere tè, lei sempre con grazia, a giocare a picchetto e a cribbage, ma con qualche difficoltà. La volpe non voleva girare nuda e si era messa una giacchina … tutto andò come al solito finché fu brutto tempo. Con la bella stagione «il sospiro della specie», come dice poeticamente il nostro filosofo, conquistò il cuore della giovane volpe. Volle uscire all’aria aperta, correre sempre più lontano; occhieggiava con cattive intenzioni certe colombe. L’animalità avanzava sempre di più. Una volta Silvia raggiunse il suo guardaroba al piano di sopra, tirò giù i vestiti e li fece a pezzi, senza risparmiare neanche l’abito da sposa. Finché un giorno rientrando nella loro stanza Mr Tebrick si trovò di fronte a uno spettacolo raccapricciante: «…sangue sul tappeto, sangue sulle poltrone e sui poggiateste, persino qualche schizzo sulla parete, e quel che era peggio Mrs Tebrick ringhiava dilaniando la pelle e le zampe del coniglio, perché tutto il resto lo aveva già mangiato». Pensò di uccidersi, di ucciderla, pianse e lei venne a leccargli il viso. Ma vide le mandibole sporche di sangue e gli artigli pieni di pelo del povero bunny e la respinse a botte e calci. Lei fuggì di casa, si finse morta; lui prese a bere, intendeva raggiungerla là dove essa era, nell’animalità. Non lo tormentava il ricordo della moglie, bella e gentile, ma quello della bestia che vedeva ancora in sogno. Era ossessionato da quel muso, dalla gola bianca , dalla morbida pelliccia… Leggeva unicamente il Libro di Giobbe, sarebbe andato missionario a predicare la Bibbia.
Negli anni cinquanta Angelica se ne era andata, lasciandolo con quattro figlie. Secondo la biografa, Garnett le scrisse una lettera assicurandola che «le mie braccia sono sempre aperte», e lei tornò a casa di Bunny accompagnata dallo storico dell’arte Richard Shone. La volpe aveva avuto quattro cuccioli e li aveva presentati a Mr Tebrick. Lui era diventato il loro naturale compagno, aveva cominciato a camminare piegato in due, andava a caccia con loro, stanando i conigli. Sognò di mandarli a studiare nelle scuole migliori. «Eton non andava bene, e neppure Harrow, né Winchester, né Rugby … Non capiva perché quelle scuole non fossero adatte, sapeva solo che erano tutte impossibili, ma alla fine avrebbe trovato quella giusta». Le figlie di Bunny e Angelica Amaryllis, Henrietta, le gemelle Nerissa e Frances vissero solo fidando sul loro atavico istinto artistico.