«Non parla portoghese, ma solo capoverdiano.È una lontana parente di Ventura». Attendiamo l’inizio di Kommunisten, nuovo lavoro di Jean-Marie Straub, qui a Locarno in una copia lavoro, chiacchierando con Pedro Costa. Vitalina Varela è un magnetica donna capoverdiana. È la prima volta che compare in un suo film. Il prossimo lavoro ruoterà probabilmente su di lei. Le figure che compongono questa infinita saga capoverdiana, la sua personale Yoknapatawpha, sembrano destinate ad aumentare di numero. Ma le luci si spengono, la chiacchierata si interrompe e noi facciamo un passo indietro.
Un’ora e mezza prima. Il tempo di vedere altri due nuovi film realizzati da Jean-Marie Straub: A propos de Venise, tratto da Amori et dolori sacrum. La mort de Venise, scritto nel 1916 da Maurice Barrès, scrittore e politico discusso (Dada lo processerà), che nel 1887 aveva visitato per la seconda volta la città lagunare, e Dialogue d’ombres, novella pubblicata da Georges Bernanos nel 1928, sulle pagine della N.R.F. Questo secondo lavoro porta anche la firma di Danièle Huillet. Si tratta infatti di uno dei primi progetti della coppia, risalente addirittura al 1954: un dialogo serrato tra due amanti, tra riflessioni su Dio, morale, slanci romantici (maschili) e lucide, puntute repliche (femminili). Cadenzato da un montaggio alternato che coglie separatamente le due figure dialoganti, il film è – per chi conosce il lavoro di Straub – una lezione (l’ennesima) su come si costruisce e si declina lo spazio cinematografico.
A propos de Venise si presenta davvero come un piccolo miracolo. Un tronco d’albero sui bordi del lago Lemano, lo sciabordio dell’acqua, il suono in presa diretta e la voce fuori-campo, i cambi di luce (stacchi d’inquadratura sull’asse): il film concentra un numero così alto di informazioni nello spazio di una singola inquadratura che diverse visioni non basterebbero per coglierle tutte quante.
C’è qui, in questo film, tutto l’amore di Straub per Cézanne: l’attenzione per il motif, la sua variazione atmosferica. E tutto il feroce sarcasmo di Barrès (che non risparmia Goethe e neppure Chateaubriand) emerge dalla re-citazione di Barbara Ulrich, così come l’aria dalla Cantata «profana» BWV 205 di Bach, Wie will ich lustig lachen, posta in chiusura del film, in un frammento riproposto di Cronaca di Anna Magdalena Bach.
Sia A propos de Venise che Dialogue d’ombres accolgono infatti al loro interno un frammento di Cronaca di Anna Magdalena Bach, come se Straub volesse porre in posizione dialettica la sua stessa filmografia. È un metodo di lavoro non nuovo, basti pensare a Cézanne, il quale al suo interno accoglieva già La morte di Empedocle (più la Madame Bovary di Renoir). Ma l’esempio più felice è sicuramente Proposta in quattro parti, realizzato da Straub e Huillet nel 1985 per «La Magnifica Ossessione», programma di Rai Tre/Fuori Orario. Una sorta di film-saggio che comprendeva al suo interno un film di Griffith (A Corner in a Wheat) più estratti dai loro Mosè e Aronne, Fortini/Cani e Dalla nube alla resistenza. Kommunisten sembra nascere da una costola di quel lavoro.
Così quando le luci si spengono ci troviamo di fronte ad un film composto da un dialogo estratto da Le Temps du Mépris di Malraux (1935), più frammenti di Operai, contadini (La speranza), Troppo presto, troppo tardi (Il popolo – lavoratori che escono dalla fabbrica a Il Cairo), Fortini/Cani (panoramiche su Le Apuane), La morte di Empedocle (il verde dell’utopia comunista), Peccato nero (Nuovo mondo). Della novella di Malraux, poco conosciuta, addirittura espunta dalle Oeuvres complètes editate dalla Pléiade, ispirata probabilmente da Die Prüfung: Roman aus einem Konzentrationslager, romanzo semi-biografico di Willy Bredel, scrittore comunista tedesco, arrestato da Hitler e sbattuto in un campo di concentramento, Straub mantiene la parte dell’interrogatorio (è lui l’inquisitore fuori-campo). Il risultato di questo montaggio dialettico è una magnifica quanto feroce disamina del ‘900. Il cui giudizio finale viene lasciato a Danièle Huillet, con quel «Neue Welt?» hölderliniano che chiude Peccato nero e – insieme – questo film.
Ritorna in mente quel Wie will ich lustig lachen di Bach. Il mondo, per Straub, non se la passa bene. Questo film è allora forse una preghiera laica per un’utopia comunista, sempre a venire.