Arriveranno fra poche ore a Bologna le staffette che ogni anno, correndo o pedalando, giungono in città da tutta Italia per ricordare la strage della stazione del 2 agosto 1980, la bomba piazzata da mani fasciste che fece 85 morti e 200 feriti. Quarantun anni dopo quel massacro, per l’ennesima volta, la grande macchina di volontari, parenti delle vittime, istituzioni, si è rimessa in moto per chiedere verità e giustizia. Tutti coloro che domani saranno in corteo e abbasseranno gli occhi, sul loro percorso incontreranno gli 85 “sampietrini della memoria”, tanti quante le vittime della bomba. La più giovane, Angela Fresu, di anni oggi ne avrebbe 44. Morì a 3 anni assieme alla mamma Maria, dilaniata dall’esplosivo che devastò la sala d’aspetto della stazione di Bologna. «Chiedersi sempre chi erano quelle persone e per quale motivo hanno perso la vita», ha detto il primo cittadino di Bologna Virginio Merola. Dieci anni fa, all’inizio del suo primo mandato, Merola citò il libro dell’Ecclesiaste. «Arriverà il tempo della verità e della giustizia. C’è un tempo per ogni cosa, come dice la Bibbia». Oggi quel momento sembra avvicinarsi davvero.

ENTRO L’ANNO SI CHIUDERÀ il processo a Paolo Bellini, che se condannato potrebbe diventare il quinto uomo della strage e aggiungersi ai 4 già giudicati colpevoli: Valerio Fioravanti, Francesca Mambo, esecutori materiali condannati nel 1995, e poi Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, quest’ultimo condannato l’anno scorso in primo grado. Tutti si sono sempre dichiarati innocenti, così come sta facendo Bellini, riconosciuto però pochi giorni fa in aula dalla sua ex moglie in un video amatoriale girato proprio a Bologna 41 anni fa, poco dopo l’esplosione della bomba. «È lui, in passato ho mentito per proteggerlo», ha detto la donna. Bellini aveva sempre negato di essere stato quel giorno in città, e la testimonianza dell’ex moglie è una svolta nel procedimento che lo vede imputato per concorso in strage. L’accusa per lui è quella di avere portato la bomba a Bologna, ma il processo ha orizzonti molto più ampi. Udienza dopo udienza si stanno scrivendo e riscrivendo pagine di storia che raccontano gli anni della strategia della tensione e i rapporti tra terrorismo nero e pezzi dello Stato italiano, a cominciare dai servizi segreti.

«C’È LA GRANDE possibilità di arrivare a una verità completa sulla strage», ha spiegato Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 agosto. Secondo Bolognesi quella che si sta delineando «è una situazione di collegamento e aiuto da parte di apparati dello Stato perché la strage venisse fatta in sicurezza. Sicurezza non dei cittadini, ma dei terroristi». Concetti che Bolognesi ripeterà domani nel suo discorso in piazza. Con lui prenderà parola anche la ministra della Giustizia Marta Cartabia. «La sua presenza – ha aggiunto Bolognesi – significa molto nel rappresentare la ricerca di verità e giustizia».

A CERCARE LA VERITÀ è anche il processo che sta andando in scena nelle aule della Corte di assise di Bologna. Il lavoro dei magistrati – e degli avvocati dell’associazione dei parenti delle vittime – ha permesso di far riemergere fatti più che inquietanti. Come i rapporti tra l’allora procuratore capo di Bologna Ugo Sisti e la famiglia Bellini, compreso il figlio oggi a processo. Sisti e Aldo Bellini, padre di Paolo, si videro due giorni dopo la strage con una terza persona mai identificata dagli agenti che li trovarono assieme.

I magistrati bolognesi hanno anche seguito la pista finanziaria, e grazie a quella ritengono di avere individuato quattro mandanti: il capo della P2 Licio Gelli e Umberto Ortolani (finanziatori); l’ex capo dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato (organizzatore); Mario Tedeschi, direttore della rivista “Il Borghese” ed ex senatore dell’Msi, che si occupò della gestione mediatica della strage e partecipò ai depistaggi.

I QUATTRO SONO tutti morti, in attesa della fine del processo per loro restano le accuse e il lavoro della Procura, che ha scovato un flusso di milioni di dollari che finanziò l’attentato. Nessuno spontaneismo armato neo fascista, ma una strage pianificata ad alti livelli. All’associazione delle vittime non basta. Ora la richiesta è che siano «messi sotto inchiesta i politici che nominarono, in quegli anni, i vertici dei Servizi, tutti iscritti alla P2 e che coprirono i terroristi di estrema destra che eseguirono la strage».