In un Iraq sull’orlo di una nuova crisi per il referendum sull’indipendenza del Kurdistan, lo Stato islamico ha lanciato l’ennesima ondata di attentati e stragi. Ieri un ordigno ha ucciso un uomo in un mercato alla periferia meridionale di Baghdad. Nel sud del Paese in quello stesso momento procedeva tra i pianti di decine di famiglie il riconoscimento delle vittime del duplice attacco compiuto giovedì sull’autostrada Dhi Qar-Bassora e in un ristorante di Nassiriya, nel sud del Paese. Almeno 84 i morti e 93 i feriti, quasi tutti sciiti. Le vittime erano dirette alla città santa di Kerbala. Uomini armati che indossavano tute mimetiche ha fatto irruzione nel ristorante Fadak, nel distretto di Dhi Qar, dopo aver colpito un posto di blocco della polizia con un’autobomba. Per le persone presenti nel ristorante non c’è stato scampo. Le tv irachene hanno mandato in onda immagini raccapriccianti di morte e devastazioni. Puntuale è poi giunta la rivendicazione dell’Isis, attraverso la sua agenzia di stampa Amaq.

Qualcuno parla di «colpi di coda» del Califfato in disfacimento sotto l’urto dell’offensiva degli esercito di Iraq e Siria. Ma con più probabiltà è l’inizio di una nuova fase in cui i jihadisti, perso il controllo del territorio, intensificheranno gli attentati per dimostrare di non essere stati sconfitti. Senza dimenticare che si sta riaccendendo la rivalità tra l’Isis e al Qaeda. L’organizzazione fondata Osama bin Laden, ora guidata Ayman Zawahry, trae vantaggio all’indebolimento degli avversari. Nel silenzio-assenso di arabi ed occidentali, al Qaeda, attraverso il suo ramo siriano Hay’at Tahrir as Sham (già Fronte an Nusra), ha creato una sorta di emirato nella provincia siriana di Iblid. E ora guarda al rinnovamento ai suoi vertici politici. Dall’ombra è emerso il 28enne Hamza bin Laden, uno dei figli del Osama, che ha esortato militanti e simpatizzanti a non rinunciare alla lotta per il controllo della Siria. Ma il giovane Bin Laden e il suo tutore Zawahry pensano anche come tornare a seminare terrore in Iraq, approfittando, tra le altre cose, della tensione tra il governo centrale a Baghdad e la leadership curda decisa a non rinunciare al referendum sull’indipendenza del 25 settembre. Il presidente curdo Masoud Barzani ieri ha detto che non è stata offerta alcuna alternativa credibile. Parole che ridimensionano il significato del piano, allo studio dei vertici curdi, presentato da una delegazione di rappresentanti di Stati Uniti, Onu e Regno Unito.

Sul referendum comunque esistono divisioni interne agli stessi curdi. Il movimento di opposizione Goran vorrebbe un rinvio della consultazione fino a quando non verrà garantita la piena sicurezza regionale. I leader di Goran ieri si sono rifiutati, assieme agli islamisti, di prendere parte alla prima seduta in due anni del Parlamento curdo decisa dai partiti Kdp e Puk per dare un segnale di fermezza all’esterno e per rispondere alla destituzione del governatore di Kirkuk da parte dell’Assemblea parlamentare a Baghdad.