I Personaggi precari di Vanni Santoni (Voland, 2013, pp. 157, euro 13) sono ingannevoli e proteiformi. Possono sembrare (e il titolo lo lascia credere) una delle divagazioni narrative sul tema del precariato, un motivo accolto nei cataloghi di tante case editrici, che di rado però ha prodotto scritture capaci di storicizzarlo degnamente.

Invece il lavoro di Santoni esplora – viene da dire «per fortuna» – un’altra dimensione. Non c’è la storia, tra le sue righe, né la sociologia, ma c’è la pennellata che fotografa e dà un nome a una variopinta fauna umana, un gioco narrativo che risente di qualche eco strutturalista o forse della multiforme riproduzione di maschere ubriacate da un’ironia toscana degna del maestro Sardelli, storica penna del Vernacoliere. Sono personaggi che entrano e escono di scena, i suoi, personaggi che si raccontano in una riga, al massimo in mezza pagina. Che crescono gli uni sugli altri, contemplando il proprio ombelico, le proprie miserie e i sogni infranti.

C’è Iole, che «dopo una vita passata a fregare la gente con la magia, è andata a finire che ci crede pure lei»; Claudio, che mette assieme Tex, Scirea, Gramsci e Grace Kelly in una sola maglietta; e poi c’è l’artista fallito e il sociopatico, il potenziale omicida e quella che muore di noia. «Storie esemplari», per la loro dispersione nel lacerato tessuto sociale italiano, come scrive nell’attenta postfazione Raoul Bruni.

Personaggi esemplari, allora, vivi nello spazio di qualche parola. Precari perché privi di un plot, di una trama, di una struttura che non sia il loro affastellarsi sulla pagina, per dare al lettore il senso del dramma, le loro ambizioni ridicole, le patetiche pretese di vita. Non tentano una sociologia, non ce la fanno neanche ad alzarsi a un tale livello d’astrazione. Sono attaccati, precariamente, alle proprie paranoie, alle loro buffe volgarità.

Vanni Santoni li ha raccolti secondo me per strada, oppure li ha osservati in qualche bar. O chissà che non li abbia colti su Facebook, dove si mette in scena la patetica rappresentazione della commedia umana del nuovo millennio, animata dal desiderio di diventare famosi – anzi, «microfamosi», come scrivono Loredana Lipperini e Giovanni Arduino in Morti di fama, un bel saggio appena dato alle stampe da Corbaccio. Perché anche i personaggi di Vanni Santoni alimentano microstorie di microfamosi, di quelli che su Facebook si mettono a nudo, in maniera talvolta oscena, sollecitando l’attenzione dell’amico o rovesciando palate di odio e fango su chi è più famoso di loro. Adulatori e poi haters, odiatori di professione.

Quel che rimane, mentre le biografie evaporano pagina dopo pagina, è la grande capacità di scrittura di Santoni. Il suo humour cinico e la forza con cui interpreta la forma breve del racconto. Perché i Personaggi precari altro non sono poi che proiezioni narrative frutto della penna di un autore, vite che vivono e muoiono nello spazio di un paragrafo. Che cercano il successo di una trama, la fuga avvincente in un intrigo, l’economia di un plot, il successo di un romanzo. E invece rimangono personaggi precari, attaccati a una sopravvivenza di cinque righe, di cinquanta parole, che non basta né a dar loro un futuro, né soldi, né fama, né una posizione in questo mondo e tantomeno un riscatto sociale. E se non è precariato questo.