Quando si discute di legislazione a contrasto dell’omotransfobia, talune voci progressiste negano la necessità di misure specifiche di protezione perchè tali norme, ufficializzando uno status di vulnerabilità delle persone lgbtq, abbasserebbero la loro autostima e alimenterebbero il senso di inferiorità sociale che si propone invece di combattere.

È INNANZITUTTO ai sostenitori, anche autorevoli, di tale tesi che si raccomanda la lettura di Caccia all’omo. Viaggio nel paese dell’omofobia (Fandango, pp. 208, euro 16), saggio giornalistico di Simone Alliva che meritoriamente racconta come la vulnerabilità delle persone lgbtq sia nelle cose, e non nelle eventuali leggi che a tale problema vorrebbero rimediare.

La realtà descritta nel libro impressiona. Odio e azioni ostili non sono una novità di questi ultimi anni, ma il fenomeno va compreso nella sua dinamica storica: come la violenza di genere che conduce nei casi estremi ai femminicidi, così l’avversione nei confronti dei soggetti lgbtq è il drammatico segno di una crisi dell’ordine gerarchico patriarcale che si sente attaccato dalle sempre maggiori libertà e visibilità delle persone che a quell’ordine sfuggono.

SMETTERE DI NASCONDERSI, autodeterminarsi significa anche esporsi a un pericolo latente, che a volte può purtroppo manifestarsi. «Non era previsto che noi sopravvivessimo» è il verso di Audre Lorde che compendia la consapevolezza della propria particolare vulnerabilità di ogni persona lgbtq che sa distinguere benissimo il rifiuto altrui, concretissimo, da un proprio vittimismo che, se esiste, è davvero residuale.

PROVA NE SONO anche le pagine di Alliva, dove si alternano crude vicende di cronaca a testimonianze di esponenti del movimento per i diritti civili, di diverse generazioni, impegnati quotidianamente sul campo. Storie di sofferenza e spesso, per fortuna, riscatto, insieme al riconoscimento del grande valore che l’associazionismo lgbtq continua ad avere per ogni essere umano che, in un giorno della vita che non dimenticherà mai, dice a sé e al mondo la propria differenza.

DI VITTIMISMO non c’è traccia. Il privato è necessariamente politico, per i soggetti lgbtq, secondo la lezione del femminismo che è parte integrante della cultura del movimento dei gay, delle lesbiche, di trans e queer. Lo sanno bene i suoi avversari, che non a caso osteggiano sia la liberazione delle donne dal ruolo subalterno nella «famiglia tradizionale» sia il desiderio delle coppie di persone dello stesso sesso di una vita familiare pienamente riconosciuta.

Lo fanno, come ricorda l’autore, con l’armamentario un po’ grottesco dei Family Day e dei «Congressi mondiali della famiglia», ma anche con le scelte, dagli effetti ben più tangibili, di quelle amministrazioni regionali e locali di destra che tagliano i progetti nelle scuole contro il bullismo omofobico.

Nella galleria degli orrori presente nel libro sono annoverate le cosiddette terapie riparative, quelle che ancora oggi sedicenti psicologi seguaci dell’americano Joseph Nicolosi somministrano a ragazze e ragazzi ritenuti da «correggere» perchè innamorati di una persona del loro stesso sesso. Può sembrare incredibile, ma esistono ancora genitori che al coming out di figli e figlie adolescenti reagiscono mandandoli a farsi curare.

ALTRO ORRORE è il cosiddetto odio online, quello che si esprime attraverso i social media, che giustamente Alliva riconduce all’odio offline, perchè vita «virtuale» e vita «reale» non sono affatto due cose diverse, al massimo «sono uno specchio» l’una dell’altra. Per questo anche la resistenza alla violenza verbale e fisica cerca di sfruttare con sapienza la rete per diffondere messaggi che diano coraggio e speranza per affrontare il mondo oltre lo schermo del proprio smartphone: una comunicazione frutto dei saperi delle generazioni più giovani e che proprio a ragazze e ragazzi, in prima istanza, si rivolge.

L’IMPORTANZA di farsi sentire, di dirsi, di raccontare è, in fondo, senso ultimo e scaturigine del libro stesso, nato da un’inchiesta giornalistica sull’omofobia sul settimanale L’Espresso a cui molte persone hanno reagito riconoscendo come quella storia fosse anche la loro, prendendo finalmente parola.