Borges suggerì che gli artisti sanno come inventare i propri precursori: gli scrittori istituiscono discendenze e plasmano il loro passato a immagine del futuro, idea molto distante da quella di Harold Bloom, che parlò di influenza letteraria come amore di uno scrittore per un altro, compenetrato da un atto di difesa per evitare di venire sopraffatto.

La realtà è a volte più semplice: pur sentendosi, legittimamente e erroneamente al tempo stesso, battitori liberi, gli scrittori sono comunque parte di un contesto più ampio, che può articolarsi secondo dinamiche identitarie, culturali, stilistiche o politiche.

Quanto alle letterature meno note, le genealogie possono essere ancora più utili. In Scozia, per esempio, esiste un novero di opere del tutto dissimili che nascono tuttavia da un sentire comune. Scrittori come Alasdair Gray e James Kelman, ad esempio, sono sideralmente distanti ma condividono la pratica di un realismo capillare, che sconfigge la grande bugia borghese della verosimiglianza, menzogna tipica della storia del romanzo «britannico».

A questa stessa vena narrativa si alimenta Agnes Owens, di cui esce per Safarà Gentiluomini dell’Ovest (traduzione di Anna Mioni, pp. 160, euro 16,00), al contempo una raccolta di racconti e un romanzo, le cui varie fasi sono legate come in un’unica sequenza, eppure appaiono staccate: parti del tutto, come componenti frattaliche, leggibili anche senza avere una visione d’insieme, ma ognuna evocatrice di un senso di totalità. Sono storie di sottoproletari, disoccupati, alcolizzati, vagabondi, tenute insieme da un senso di precarietà che coincide con un prezioso vivere al minuto, anzi al secondo. Le relazioni familiari, e quelle tra gli amici, sono insieme solide e fragili, quasi futili all’apparenza.

Tutto gravita intorno al pub di una cittadina scozzese, il Paxton Arms, dove convergono le giornate dei protagonisti, quasi fossero indirizzate ineluttabilmente a quelle mura. Come scorrono le pinte di birra e i bicchieri di whisky al bancone del bar, così scorrono le vite dei protagonisti, come forze liquide, che tengono insieme i personaggi facendoli barcollare, e spingendoli a perdere le coordinate del reale: «Essendo più ubriachi del solito, avevamo calcolato male l’ora. Urtavamo le recinzioni mentre andavamo per la strada a zig zag».

Il bere continuo e le serate sempre in bilico tra risate e risse scomposte, guidano i personaggi verso situazioni improbabili, comiche nella loro farsesca tragicicità, mentre si stringono in uno spirito di corpo ridanciano, subalterno, a tratti marginale: «Attraversammo i campi paludosi, aggirammo la fattoria, per percorrere il viottolo impiastrato di letame, poi oltrepassammo la vaccheria fetente, rassicurandoci a vicenda, felici, che l’odore non ci dava fastidio, finché arrivammo alla dimora di Paddy, ricoperta di muschio. Davanti a quel tugurio avrebbe storto il naso persino un maiale, ma in preda all’ottundimento dei sensi riuscivamo a goderci la sua bruttezza».

Come altri scrittori scozzesi della generazione successiva, per esempio Irvine Welsh, anche Agnes Owens era già interessata a una realtà minima, quotidiana, fatta di miseria e di drammatiche illusioni. La sua è una Scozia che la narrativa britannica mainstream intenderebbe dimenticare: secondo Alasdair Gray, infatti, «queste storie dimostrano il grande presupposto inglese, che è anche la grande menzogna inglese, secondo cui qualsiasi talento speciale, iniziativa o nozione non classificata come popolare è una proprietà dei benestanti, un lusso dei ricchi. Questa stessa bugia è la costituzione non scritta dell’Inghilterra.» Esiste in Scozia da tempo una rivendicazione di indipendentismo anche culturale sostenuta da scrittori e artisti e giustificata da decenni di politiche centralizzate che, dal governoThatcher in poi, hanno reso il paese via via sempre più marginale.

Le storie di Owens contribuiscono a ricomporre questo puzzle dissestato, un mosaico a tratti schizoide che funziona come cartina di tornasole del presente, e si snodano lungo il passato mentre avanzano verso un futuro da reinventare.