Germanista illustre, per molti anni a capo del Center for German and European Studies all’Università del Minnesota, Jack Zipes è anche un grande studioso della fiaba, la cui vasta e brillante produzione saggistica analizza le origini storiche, l’evoluzione e la diffusione di un fenomeno culturale «disobbediente» e misterioso, pronto a sfuggire alle rigide categorie istituite per definirlo come ad evolversi e adattarsi al presente in modi imprevisti e innovativi, passando dalla scrittura alle arti visive, dall’elettronica alla fotografia, dal cinema a internet, come ricorda lo stesso Zipes nel suo La fiaba irresistibile (Donzelli 2012).
Attento agli infiniti travasi di un millenario patrimonio orale in media diversi, lo studioso americano aggiunge ora un nuovo tassello alla sua indagine grazie a Fiabe con le ali. Due secoli di immaginario fiabesco nelle cartoline illustrate (Donzelli, pp.304, euro 35), un volume prezioso, riccamente illustrato con cinquecento immagini a colori provenienti dall’imponente collezione dell’autore e completato da una bella prefazione di Marina Warner. Hanno, queste storie in cartolina, due volte le ali. Prima di tutto perché, come ci ricorda Heinrich Zimmer in Il re e il cadavere, la natura delle fiabe è quella di semi portati dal vento, provenienti «da epoche remote e da lontani, sconosciuti angoli del mondo», che conservano una perenne capacità di germinare e «di subire davanti ai nostri occhi mutazioni incessanti, di pari passo con i diversi ambienti culturali del mondo e della storia»; in secondo luogo, perché si affidano a un medium «viaggiatore» per eccellenza, oggi decaduto ma eccezionalmente diffuso e popolare per più di un secolo, alla portata di tutte le tasche e congeniale anche a quanti non possedevano l’istruzione necessaria per scrivere lettere.
Nata nella seconda metà del XIX secolo, quando la necessità di comunicare in modo sintetico, rapido ed economico aveva indotto l’Impero austro-ungarico a emettere la prima Correspondez-Karte, ai suoi inizi la cartolina era un semplice rettangolo di cartoncino color avorio: una novità rivoluzionaria e «democratica» che, rapidamente adottata da tutti i paesi provvisti di un servizio postale, non ci mise molto a vestirsi di illustrazioni – spesso a colori grazie alle innovazioni dell’industria tipografica – e più tardi di fotografie, puntellando con la forza dell’immagine la laconicità o la scarsa grammatica del mittente.

Dalle classiche «vedute» alle vignette, dalla moda all’arte, dalle scene esotiche ai personaggi celebri, dal patriottismo alla lotta politica, dalla pubblicità agli auguri, gli argomenti erano praticamente infiniti e la fiaba era uno dei più diffusi, anche se i collezionisti e gli studiosi non hanno prestato particolare attenzione a questo specialissimo modo di ri-raccontare storie, che Zipes, invece, prende minuziosamente in esame, sottolineando come l’immaginario fiabesco abbia trovato nella cartolina un ulteriore mezzo per penetrare nella cultura popolare, o meglio per farvi ritorno dopo l’approdo alla scrittura e l’insediamento nella stanza dei bambini, cui i fratelli Grimm e gli autori romantici avevano ampiamente contribuito.

Che a crearle fossero artisti anonimi o celebri (in buona parte tedeschi, inglesi, o americani e poi russi, questi ultimi con una produzione tardiva ma sorprendente) le fiabe in cartolina erano destinate agli adulti e sembravano sollecitare una consolatoria nostalgia per l’infanzia, ma anche per una tradizione che si avviava a un rapido tramonto; nelle immagini del primo e dell’ultimo capitolo vediamo infatti, oltre a madri e nonni circondati da bambini in ascolto, narratori o cantastorie che si rivolgono a gruppi di donne in costumi regionali o di contadini, durante le veglie e i momenti d’ozio: un mondo perduto in cui il racconto orale era un mezzo di intrattenimento e di socializzazione, rievocato da immagini mute o accompagnate da una succinta didascalia.

Di didascalie, invece, non avevano bisogno le cartoline dedicate ad alcuni celebri romanzi fiabeschi per l’infanzia, da Alice a Pinocchio a una deliziosa rielaborazione «socialista» del Mago di Oz illustrata da Leonid Vladimirskij (immagini che spesso facevano parte di una serie e che, accostate, sembravano comporre un vero e proprio silent book per illetterati), e nemmeno quelle, innumerevoli e spesso bellissime, con scene e personaggi delle fiabe più famose: Zipes ce le presenta accostandole a differenti versioni della medesima storia, per mostrarci come il variare dei testi influenzi le immagini (se, per esempio, nella Cenerentola di Perrault c’è una fata madrina, in quella dei fratelli Grimm la vedremo sostituita da due colombe) e farci notare una volta di più la significativa mutevolezza e le infinite sfumature della narrazione.

Al di là delle differenze – legate anche al gusto locale e all’influenza delle correnti artistiche di epoche diverse, delle quali le cartoline sono a volte specchio fedele e altre volte ingenua degradazione – esiste però la tendenza comune ad accentuare le coloriture romantiche o quelle umoristiche, quasi a sorvolare sull’esplicita crudeltà della fiaba di magia: un messaggio di speranza e di incoraggiamento, una ricerca di leggerezza e di conforto che va di pari passi col desiderio di intima condivisione insito nel parlarsi a distanza attraverso immagini familiari e immediatamente riconoscibili, eppure sempre nuove e pronte a stupire.