È potente questo nuovo libro di Lia Levi. Ha lasciato da parte la scritture gentile dei suoi innumerevoli precedenti romanzi (da Una bambina e basta – il primo – al più recente Questa sera è già domani del 2018, tutti editi da e/o) per concedersi a una pagina a tratti dura. In questo ultimo Ognuno accanto alla sua notte (sempre e/o, pp.264, euro 18) intreccia storie e dolore senza evocazioni sospese e narra memorie sofferte e violate ancorate, quasi con ferocia, alla razzia degli ebrei di Roma a opera dei nazisti il 16 ottobre 1943.

TRE STORIE che si incrociano e lasciano il lettore sulla soglia della deportazione perché oltre è successo l’inimmaginabile e agli eredi, le voci narranti del libro, la parola si ferma al di qua del filo spinato. Non una riga sui campi di sterminio, su cosa vi sia accaduto, l’azione narrativa è tutta prima, in un prima che si dilata fino al nostro presente. Sappiamo come è andata a finire per coloro che entrarono il 16 ottobre al Collegio militare su Lungotevere: oltre mille i deportati e sedici i sopravvissuti ma di questo Levi non scrive, lascia un vuoto che si organizza in un dopo in cui i figli e i nipoti dei sopravvissuti devono ritrovare la parola per riprendere il filo di storie nascoste per ansia di vita, per vergogna di sopravvivenza, per lasciare spazio alla speranza.

Il contesto delle storie – il luogo della narrazione – è una villa toscana in un oggi pieno di pioggia, di umidità esteriore e interiore, di presenze fuggevoli. Un caminetto che si accende a tentare consolazione e gusci di noci rotti con rabbia quando – per i tre protagonisti interlocutori – questa si fa incontrollabile; e mostra l’incommensurabilità tra il dolore e il gesto che lo manifesta. A segnare il passo dei racconti, che si intrecciano solo nel loro svelarsi finale, un incontro dei nostri giorni intorno a delle improbabili lezioni di inglese per due donne e un uomo oramai adulti.

DORIANA porta con sé la storia di Lucilla, donna sofferente, amorosa e dilaniata, con il tratto finale della liberazione perché con gli americani arrivarono – cosa spesso dimenticata – gli antibiotici. Il suo compagno di vita e di amore, Guido, è un commediografo costretto sotto mentite spoglie dalle leggi razziali a consegnare i propri lavori a un prestanome, un uomo di fiducia e di affetto a cui è, comunque, destinata la rabbia dell’esclusione e il sospetto del profittatore.

Guido matura una coscienza antifascista nel corso del racconto, organizza i suoi studenti e una radio clandestina ma il 16 ottobre lo trova solo nella casa di piazza Cola di Rienzo dove la portiera custodisce paure e segreti, elargendo affetto, cura e salvezza. Gisella racconta invece di vita e di poesia, di un amore impossibile che pure riesce a salvare: due quindicenni divisi da tutto – figlio di un fascista lui, di famiglia ebraica lei – si innamorano contro ogni logica e possibilità. Parole che si concludono in una notte inverosimile – quella del 15 ottobre – che regala una remota speranza. Forse, da qualche parte, in un passato e un luogo lontani sono davvero esistiti una Colomba e un Ferruccio che hanno avuto salve vite e amore.

La terza storia – stracciata dal dolore del silenzio – è quella di Saul, figlio di un sopravvissuto straziato, un Caino che si nasconde dalla propria biografia per poter sopravvivere. Graziano, il padre – che compare quindicenne nelle altre storie, alunno di Guido, figlio di un dirigente della Comunità – descrive una vicenda spesso taciuta e che interroga ancora: capirono i maggiorenti della comunità ebraica romana cosa si stava preparando in quell’estate del 1943?

PERCHÉ, A DIFFERENZA di altri luoghi d’Italia, si fecero trovare impreparati, culturalmente e esistenzialmente impossibilitati a capire che l’inverosimile stava già accadendo. La voce di Graziano narra però un tentativo di rivolta rispetto all’inevitabile, destinato al fallimento. Un episodio di passione e di tenebre dove il riscatto è impraticabile e l’unica facoltà resta il silenzio che travolge anche Saul fino a quando suo padre, in punto di morte, gli consegna una rivelazione tardiva.

Sono storie collegate l’una all’altra da un filo sottile nel passato e da un incontro solo apparentemente casuale nel presente. Resta, amara, l’impossibilità di riscatto. «Io – spiega Fiammetta in conclusione, è lei che bada al camino e alla luce, è lei un po’ intrusa e un po’ trasparente ad avere accudito i loro racconti – sono solo quella che cerca di farvi avvicinare a voi stessi e ai vostri accadimenti, e poi anche agli altri e ai loro accadimenti. Ho detto ’cerca’, un’impresa di questo genere non comporta un traguardo».

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SCHEDA. Appuntamenti

Convegno a Trieste
Il 26, dalle 14, si svolgerà il convegno «Convivere con Auschwitz», organizzato dall’università di Trieste («Violenza e indifferenza nella regressione del sapiens contemporaneo»).
L’organizzatore Gianni Peteani, è tra i promotori dell’iniziativa che ha portato a dedicare un asteroide a Liliana Segre. Al corpo celeste è stato attribuito nel Catasto astronomico internazionale il numero 75190, lo stesso che venne tatuato a Segre ad Auschwitz. I temi spazieranno dalla Conferenza di Wannsee in cui si discusse della «soluzione finale» degli ebrei d’Europa, al processo di Norimberga, fino al caso dei matematici che hanno usato lo studio per «fuggire mentalmente» dal campo di concentramento. Tra questi, Jakow Trachtenberg che ha sviluppato una tecnica di calcolo mentale veloce valida ancora oggi.

Ghetti al Meis
In attesa di «Oltre il ghetto. Dentro&Fuori», il Meis di Ferrara propone appuntamenti virtuali per dare anticipazioni. La mostra ripercorre il periodo che va dai ghetti (con l’istituzione del primo, quello di Venezia nel 1516) all’Emancipazione e l’Unità d’Italia. Le curatrici, Andreina Contessa, Simonetta Della Seta, Carlotta Ferrara degli Uberti e Sharon Reichel spiegheranno la rassegna scegliendo alcuni oggetti protagonisti. Il 26, alle 19, il Meis ospiterà una conversazione su pregiudizi antiebraici e antisemitismo.

Pietre d’inciampo
21 nuove «pietre d’inciampo» del tedesco Gunter Demnig (l’iniziativa che Adachiara Zevi ha portato a Roma nel 2010 e che ha fatto scuola anche in altre città italiane) saranno inserite nel tessuto urbano tra martedì e mercoledì. Fra i «ricordi», quello di Augusto Capon (via Saliceto), ammiraglio cugino di Amelia Rosselli (madre dei fratelli Nello e Carlo nonché di Carlo Pincherle, padre di Moravia). Catturato il 16 ottobre del ’43 venne ucciso ad Auschwitz (fu anche il suocero del Nobel Enrico Fermi).

Videomapping
La sera del 27, un intervento di videomapping trasformerà la superficie della Pilotta in un potente memo: la pianta di Parma, proiettata sul muro, su cui compaiono alcuni punti, riferimenti, a proporre altrettante storie delle pietre d’inciampo. Sui mattoni della muratura si accenderà l’immagine di una lettera strappata. Gli strappi conducono a tre visioni: la prima è quella della mappa, nella seconda compariranno foto e video e nell’ultima un insieme di parole chiave estrapolate da sceneggiature di quattro racconti: Carolina Blum, Famiglia Polizzi, Ugo Franchini e Sergio Barbieri. Gli studenti del Toschi, coordinati dai docenti Gennari e Gattini hanno dedicato altrettanti podcast raccolti dall’Istituto Storico della Resistenza e dall’Istituto Luce.