Il silenzio che era una prerogativa degli Appennini, delle sue leggende e della contemplazione ispirata dai cammini, è diventato paura dopo il 24 agosto scorso, amplificato dal vento o dallo scricchiolio della finestra, il presagio dell’imprevedibile. Poi è arrivato l’altro silenzio, quello mediatico, che col passare dei giorni ha contratto la narrazione del terremoto rendendolo incautamente accessibile e quindi qualificabile. Un silenzio opposto al primo, incapace di empatia col luogo e con le persone e avallato dalla velocità nell’affastellarsi di altre notizie che schiacciavano l’effetto delle prime immagini dei crolli.

UN FOCUS CHE ESCE dall’ordinario è quello di Silvia Ballestra nel suo ultimo libro Vicini alla terra. Storie di animali e di uomini che non li dimenticano quando tutto trema (Giunti, pp.144, euro 12), contestualizzato nell’esperienza dell’Enpa (l’Ente nazionale protezione animali) intervenuta in seguito alle prime scosse. Allora sono gli animali i protagonisti, domestici o selvatici, da allevamento, persi, ritrovati, feriti, intrappolati. Che siano parte dell’economia o degli affetti della casa, esprimono il rapporto ancestrale con quel territorio, in una metafora in cui animali e persone subiscono la medesima condanna e potrebbero scambiarsi di ruolo. E il libro, senza la pretesa di farsi reportage, è alimentato da piccole immagini dettate dalle parole e dalla tenerezza dei gesti come chi, con vergogna e nel bel mezzo della devastazione, chiede aiuto per ritrovare il suo gattino.

Se le cronache hanno riferito di quanti, per non allontanarsi dal cane o dalla stalla, hanno deciso di rifiutare gli aiuti, di non andare in albergo, Ballestra è riuscita a collegare il filo della ragione e dell’emergenza ai sentimenti, ricongiungendo il senso intimo della famiglia, del borgo e perciò dell’importanza degli animali. Siano essi di compagnia o da allevamento.
Due bambine che aspettano ansiose il salvataggio delle loro gatte restate nella casa inagibile, può sembrare in quei giorni una faccenda da poco o una parabola emotiva giusta per i telegiornali che straripano di emotività. Eppure l’amore verso i più deboli è essenziale per l’umano e può essere assimilato solo tramite la lentezza della lettura e della riflessione.

Lo spettacolo e le informazioni ridondanti invece possono creare cortocircuiti: tanti si domandano perché tanta pena per Pietro, un micio che ha perso la sua padrona e trovato con la mandibola rotta dopo 16 giorni sotto le macerie di Amatrice? Come se si trattasse di un essere inutile, spoglio anche di quei simboli che possono alleviare chi non ha più niente; non una vacua consolazione ma il testimone concreto che non tutto è andato smarrito, in quanto, come scrive l’autrice: «Accudire i propri animali, sfamarli e pulirli, significa anche prendersi cura di se stessi». E comunque l’Enpa salva animali senza togliere risorse ad altri soccorsi.

BALLESTRA RACCONTA di cani sotto le macerie disidratati e di quelli malinconici sdraiati davanti le macerie, di gatti nascosti in cantina, pecore sotto l’ovile crollato e caseifici privi d’acqua, maiali e mucche senza stalla, trote in vasche rotte e pullman, pronti per andare lontano, verso la costa.
È un libro prezioso perché disvela attimi pregiati con testimonianze che non drammatizzano ma narrano storie sfacciatamente spontanee, prive di parole e mosse da un autentico sentimento di tornare a vivere. Nel mezzo c’è il paesaggio trasformato, luoghi da sempre prudentemente appartati dal turismo di massa, che si ritrovano in preda all’isterismo delle soluzioni.
Purtroppo il pensiero unico, sottotraccia, sta facendo palesare un assurdo messaggio: abbandonate il territorio, non sarà mai sicuro, siete quattro «gatti».