Dal cilindro mediorientale esce l’alleanza meno attesa. Dopo lo storico disgelo tra Teheran e Occidente, lo scorso anno, stavolta è l’avanzata jihadista ad avvicinare i governi occidentali al nemico numero uno degli ultimi tre anni, il regime siriano di Bashar al-Assad. Ieri è giunta l’apertura alla comunità internazionale da parte di Damasco, per bocca del ministro degli Esteri, Walid Muallem: «La Siria è pronta alla cooperazione e al coordinamento ad un livello regionale e internazionale per combattere il terrorismo e implementare la risoluzione 2170 del Consiglio di Sicurezza», ha detto Muallem, aggiungendo che Damasco è disponibile ad estendere tale cooperazione a Gran Bretagna e Stati Uniti se «seria e non basata su doppi standard».

Ovvero, porte sbarrate se venisse violata la sovranità della Siria, porte aperte a eventuali bombardamenti delle postazioni di Isis e Fronte al-Nusra se coordinate in anticipo con Damasco: «Siamo figli di questa regione – ha detto Muallem – Sappiamo meglio di chiunque altro quando e dove un bombardamento sarebbe utile».

La risoluzione 2170 era stata votata dal Consiglio di Sicurezza il 15 agosto e prevede interventi volti a indebolire la galassia jihadista in Iraq e in Siria, tagliando i finanziamenti e arginando il flusso di miliziani provenienti dall’estero. Un appello, quello siriano, che si aggiunge al grido di aiuto iracheno: domenica il premier designato Al-Abadi, in un incontro con il ministro degli Esteri iraniano, ha chiesto l’intervento internazionale per distruggere lo Stato Islamico di Al Baghdadi, ormai padrone di un terzo dell’Iraq e di vaste aree ad ovest di Aleppo, in Siria. Un corridoio che dalla periferia della seconda città siriana oltrepassa l’ormai inesistente confine con l’Iraq, raggiungendo l’estremo oriente del paese, fino alla provincia di Diyala alla frontiera con l’Iran. Un corridoio nel quale si moltiplicano le brutali violenze dei qaedisti e la fuga disperata dei sunniti e delle minoranze cristiana e yazidi.

A spingere sull’acceleratore siriano è stata la violenta presa di Tabqa, una delle principali basi dell’aviazione a nord est, ultimo avamposto del regime in un’area – la provincia di Ar-Raqqa – del tutto controllata da gruppi jihadisti. La base – a cui l’Isis puntava da settimane e la cui caduta è costata 500 vittime – ha un’enorme importanza strategica sia per la posizione geografica (si trova sul fiume Eufrate, a 45 km dalla città di Raqqa, roccaforte qaedista), sia perché contiene aerei da guerra, elicotteri, carri armati e artiglieria. Un significativo bottino per le milizie di Al Baghdadi. L’aviazione di Damasco ha tentato di fermare l’offensiva bombardando dall’alto, senza successo.

Così è caduta anche Taqba, dopo le basi della Divisione 17 e della Brigata 93, prese dall’Isis nelle settimane precedenti. E ora l’obiettivo diventa la vicina Aleppo, circondata dalle milizie dello Stato Islamico, ma ancora controllata al suo interno in parte dall’Esercito Libero Siriano e in parte dal regime di Assad.

In casa irachena, mentre proseguono i bombardamenti Usa intorno Mosul, ieri è stato un altro giorno di sangue: un attentatore suicida si è fatto esplodere in una moschea sciita a Baghdad, uccidendo 13 persone. E così dal caos iracheno e siriano potrebbe uscire il più inatteso degli assi: Washington-Damasco-Teheran, accomunati dagli stessi interessi, arginare l’avanzata dell’Isil e salvaguardare gli equilibri regionali.

Ognuno a modo suo: se Iran e Siria vogliono evitare una spartizione territoriale e etnica, gli Usa – come teorizzato dal piano Biden – non disdegnerebbero la divisione dell’Iraq in tre entità confederate, una per ogni comunità etnico-religiosa. Il presidente Obama non dormirà sonni tranquilli se costretto a prendere misure in Siria, a fianco del nemico Assad, contro cui ha mobilitato e finanziato per tre anni le opposizioni moderate, finendo per sostenere indirettamente quelle islamiste. Oggi i moderati – timorosi che quelle bombe danneggino il fronte anti-Assad – avvertono Washington: «I bombardamenti contro l’Isis – ha fatto sapere l’Esercito Libero Siriano – non sconfiggeranno i jihadisti, ma gli faranno il solletico».