Dopo sei settimane di sanguinosi combattimenti nel Nagorno Karabakh, lo scorso 9 novembre Armenia e Azerbaigian hanno siglato un accordo di cessate il fuoco mediato dal presidente russo Putin. In base all’intesa, l’Azerbaigian mantiene i territori conquistati e l’Armenia cede anche altre zone del Nagorno Karabakh e dei territori limitrofi. «Non è una guerra di religione, quanto piuttosto una sovrapposizione di interessi locali, regionali e internazionali», scriveva nelle sue memorie il diplomatico azerbaigiano Hafiz Pashayev, nominato ambasciatore di Baku a Washington all’indomani dell’indipendenza dall’Impero sovietico. A livello locale sono contrapposti Armenia e Azerbaigian. A livello regionale sono coinvolti la Russia (schierata con gli armeni, ma partner commerciale e fornitore di armi anche agli azerbaigiani) e la Turchia (vicina a Baku e ostile agli armeni, di cui non ha mai riconosciuto il genocidio). A livello internazionale, a giocare un ruolo sono gli Stati Uniti e l’Unione Europea. La Francia è pro-Armenia e, per difenderne le posizioni, l’Eliseo aveva fatto in modo di ottenere la copresidenza del gruppo di Minsk all’interno dell’Osce, insieme a Washington e Mosca.

Memorie di un ambasciatore (Sandro Teti Editore, Roma, 2015, pp. 260, euro 15) è uno dei volumi che vale la pena leggere per decifrare il Caucaso, luogo di intersezione di interessi strategici contrapposti, e per comprendere la scaltrezza della dirigenza politica di Baku. Pashayev racconta – per esempio – di come Heydar Aliyev, in epoca sovietica primo segretario del Comitato centrale del Partito comunista in Azerbaigian (e dal 1993 al 2003 presidente della Repubblica dell’Azerbaigian), avesse gestito la breve visita a Baku del capo di Stato della Finlandia Urho Kekkonen. Aliyev si era informato circa le passioni dell’ospite, dopodiché aveva preparato una battuta di pesca sul mar Caspio facendo in modo che lo straniero lanciasse l’amo per prendere, uno dopo l’altro, enormi storioni. Entusiasta, Kekkonen mai seppe che dietro il miracolo c’era una squadra di sommozzatori: avevano liberato le prede al momento giusto, per compiacere il presidente finlandese.

Veniamo al conflitto per il Nagorno Karabakh. Era scoppiato nel 1988, al tempo dell’URSS, e nessuno parve farci caso. Oggi la situazione è diversa: per il diritto internazionale è territorio dell’Azerbaigian, ma è controllato dagli armeni e gli azerbaigiani hanno deciso di riprenderselo facendo leva sull’appoggio di Ankara. In considerazione dell’aneddoto sul presidente finlandese, è ovvio che se il 27 settembre gli azerbaigiani hanno riacceso il conflitto – sopito ma irrisolto – sapevano dove andare a parare. Per approfondire la conoscenza di Armenia e Azerbaigian, e quindi le ragioni della guerra, si segnalano il recente saggio Storia degli armeni di Aldo Ferrari e Giusto Traina (il Mulino, Bologna 2020, pp. 224, euro 20) e Armenia oggi. Drammi e sfide di una nazione vivente del giornalista Simone Zoppellaro (Guerini, Milano, 2016, pp. 86, euro 9,50). Il ricercatore Carlo Frappi ha scritto Azerbaigian crocevia del Caucaso (2012, pp. 140, euro 15) e il giornalista Giovanni Bensi è autore di Le religioni dell’Azerbaigian (2012, pp. 144, euro 15), entrambi dati alle stampe dall’editore romano Sandro Teti con le prefazioni del già citato Aldo Ferrari, docente di Storia del Caucaso e dell’Asia Centrale all’Università Ca’ Foscari.

Proseguiamo con un romanzo dato alle stampe da Guerini, in cui a raccontare i pogrom contri gli armeni nell’Azerbaigian post-sovietico è l’azerbaigiano Akram Aysisli, che per questo libro ha perso il titolo di «scrittore del popolo» e la pensione statale e, in seguito alle tante minacce, è stato costretto all’esilio. Il suo controverso romanzo Sogni di pietra (Roma, 2015, pp. 144, euro 12,50) narra le vicende di un noto attore azerbaigiano che aveva difeso un vecchio armeno da un linciaggio e per questo era stato massacrato dai suoi connazionali. Tra gli altri volumi pubblicati da Guerini ricordiamo Giardino di tenebra. Viaggio in Nagorno Karabagh (2003, pp. 168, euro 16) del medico chirurgo milanese Pietro Kuciukian, figlio di un sopravvissuto al genocidio armeno del 1915. A Kuciukian, nel 2003 il Comune di Milano aveva conferito l’Ambrogino d’oro per la sua attività nella ricerca dei Giusti per gli armeni.

Dall’altra parte della barricata, vi sono gli azerbaigiani e le loro sofferenze. Protagonisti del romanzo Il dolore di Arye e Amir Gut (Sandro Teti Ed., 2018, pp. 410, euro 18) sono due giovani che si incontrano a Baku. Lui è un dottorando israeliano di fede ebraica, lei un’attivista azerbaigiana e musulmana sopravvissuta al massacro per mano degli armeni nella città azerbaigiana di Khojaly nel febbraio 1992. Gli armeni non sono stati gli unici a infliggere perdite agli azerbaigiani. Recentemente, l’editore vicentino Neri Pozza ha dato alle stampe I miei giorni nel Caucaso (2020, pp. 302, euro 19): sono le memorie di Banine, pseudonimo della colta e benestante Umm-El-Banine Assadoulaeff nata a Baku nel 1905 e costretta con la famiglia all’esilio, dapprima a Istanbul e poi a Parigi, in seguito alla Rivoluzione russa e alla caduta della Repubblica democratica dell’Azerbaigian. Pubblicato in francese nel 1954, ritrae la vita sulla sponda occidentale del mar Caspio. Ad alcune di queste pagine avevo attinto per raccontare l’infanzia di mia nonna paterna Mariam Gassemov nel memoir Non legare il cuore. La mia storia persiana tra due paesi e tre religioni (Solferino, 2018). Nata a Baku nel 1921, in seguito all’arrivo dei bolscevichi anche mia nonna e la sua famiglia erano state costrette all’esilio, in Iran. «Chi si è separato, può sapere ciò che vuol dire perdere l’amato / Chi non lo vive, non capisce niente», recitava Madina Gulgun (1926-1991) i cui versi sono in Le poetesse dell’Azerbaigian. Otto secoli di letteratura 1200-1991 (testo originale a fronte, Sandro Teti Ed., 2018, pp. 212, euro 16). Il Caucaso, una terra intrisa di storia, dolore e poesia.