Immaginate di nascere a Manchester, a due passi dal teatro dei sogni, l’Old Trafford. Immaginate che le divinità calcistiche vi abbiano fatto omaggio di doti tecniche ben al di sopra della norma. Siete così bravi che a chiedervi di giocare con il grande Manchester United un giorno si presenta sull’uscio di casa vostra il più grande allenatore di tutti i tempi, Alex Ferguson. A quel punto è normale che sognate a occhi aperti di diventare una delle leggende di un club che ha fatto la storia del calcio. Ma per Mike Wilson il sogno si tramuta in incubo nello spazio di 133 secondi.

Tanto dura il suo esordio in Premier League, prima che una sua sciagurata entrata a piè pari sulle gambe di un malcapitato difensore avversario ne stronchi per sempre la carriera di brillante calciatore. Colpa di un passaggio sbagliato di Ryan Giggs, l’esatto opposto di Mike. Recordman di presenze e una cornucopia di trofei l’uno, solo una manciata di istanti tra i professionisti l’altro, ben presto ridottosi a racimolare le briciole nel mondo delle leghe dilettantistiche. Il sublime Ryan, come è normale che sia, fa il pieno di soldi e fama, ritagliandosi l’immagine di calciatore modello. Lo sfigatissimo Mike continua a essere uno squattrinato esponente della working class mancuniana e finisce subito nel dimenticatoio.

Pure nella classifica dei flop dello United nei 26 anni di regno di Ferguson non si merita un posto tra i titolari, ma viene relegato in panchina. In realtà ha qualche cosa in comune con Giggs: un padre snaturato che, guarda un po’, di cognome fa Wilson. Il piccolo Ryan sceglierà l’appellativo della madre gallese, finendo per giocare in nazionale per i Dragoni e non con l’Inghilterra, che così per colpa di un genitore scellerato ha dovuto rinunciare ai servigi di una delle migliori ali di tutti i tempi. A esser precisi, in tempi recenti si è scoperto che anche il buon Ryan era un donnaiolo impenitente che considerava alla stregua di un optional esser fedele alla propria moglie. Nel bel libro di Rodge Glass (Voglio la testa di Ryan Giggs, ed. 66thand2nd) Mike ha altri vizi: il gioco d’azzardo e soprattutto l’alcool, nemico-amico di un’altra leggenda dei Red Devils, George Best.

Tanto per non farsi mancare nulla, però, a un certo punto anch’egli si ritrova improvvisamente un figlio sul groppone. Ma oltre quella di uomo con mille problemi personali e famigliari, la storia di Mike è soprattutto quella di un tifoso che stava per realizzare la massima aspirazione per qualsiasi appassionato di football: giocare per la squadra del cuore. Il racconto della passione viscerale per lo United – trasmessa di generazione in generazione, il bisnonno era già un frequentatore assiduo dell’Old Trafford – ricorda un po’ il best seller di Nick Hornby Febbre a 90°. L’impianto narrativo è molto simile, con due piani temporali alternati: da una parte la stagione 2007-08 si incardina negli accadimenti del burrascoso passato di Mike, dall’altra Hornby, oltre a narrare come fosse germogliato il suo attaccamento all’Arsenal, descrive la campagna dell’incredibile vittoria in campionato nel 1988-89.

Se il buon Nick ha una «normale» vita borghese, fatta di alti e bassi, l’anti-eroe Mike sembra spuntar fuori da un film di Ken Loach e proprio non ne combina una giusta. Il giorno in cui la squadra vince la Coppa dei Campioni segnando due goal nei minuti di recupero al Bayern Monaco, tenta il suicidio perché lui poteva, doveva essere lì con Beckham e compagni ad alzare il trofeo. Per la finale di Champions League del 2008 compra un biglietto falso, inventa scuse improbabili al lavoro per volare a Mosca a seguire la squadra – infatti viene scoperto e subito licenziato – non riesce a entrare allo stadio, si ubriaca come una cucuzza al pub insieme a un gruppo di tifosi dublinesi e quando la sua ossessione segna il rigore che dona ai Red Devils il trionfo nella competizione per club più prestigiosa del mondo non regge e compie un «atto sconsiderato».

Un finale amaro per un libro che in vari frangenti distilla riflessioni tranchant sul calcio moderno. Il raffronto con un passato in cui il business e i soldi non erano tutto è impietoso. Quando uscì Febbre a 90°, si stava assistendo alla definitiva affermazione della Premier League. Il calcio era di moda, la middle e la upper class lo stavano reinterpretando a modo loro, incastonandolo alla perfezione nell’industria dell’intrattenimento. Si perdevano radici importanti, si cancellava una bella porzione di genuinità, e non a caso il fratello di Mike nella novella di Glass preferisce abbandonare l’Old Trafford e seguire lo Stockport County, piccola squadra alla periferia di Manchester che bazzica nelle serie minori. Oggi sosterrebbe lo United FC, il club creato dai tifosi come risposta alla gestione tutta finanza e marketing (e debiti) dei proprietari americani dei Red Devils, la famiglia Glazer. Per lui i giocatori della Premier «sono solo puttane miliardarie» pronte a vendersi al miglior offerente. I calciatori simbolo si contano sulle dita di una mano. E uno di loro si chiama Ryan Giggs.

Dopo il fallimento del successore di Alex Ferguson, David Moyes, Ryan Giggs è addirittura diventato manager pro tempore del Manchester United. Nell’ultima partita casalinga dell’anno ha fatto esordire un diciottenne che di cognome fa Wilson (il suo nome però è James). Il ragazzo (nella foto) se l’è cavata benissimo, mettendo a segno una doppietta da sogno. Per la serie, quando la realtà supera l’immaginazione…