Novemila docenti universitari hanno aderito fino ad oggi allo sciopero degli esami per ottenere l’eliminazione del «mutuo perpetuo» sugli stipendi che porterà a eliminare ben cinque anni di carriera dal calcolo dell’anzianità di servizio. Invece di incalzare il Miur, e il governo, per ottenere la restituzione di una cifra che sembra superiore ai 100 mila euro a testa per docente, o per sbloccare gli scatti stipendiali fermi da quattro anni, la Conferenza dei Rettori (Crui) ha inviato alle rappresentanze sindacali dei docenti e alla ministra dell’università e ricerca Valeria Fedeli un invito a presentarsi il 5 ottobre a piazza Rondanini a Roma per discutere sulla «regolamentazione dell’astensione collettiva».

Una richiesta, contenuta in una lettera del 13 settembre scorso, che appare oggi tardiva, se non proprio intenzionata a limitare o interferire con una protesta in crescita. Lo sciopero è stato regolamentato da un intervento del garante degli scioperi il 28 agosto scorso che, insieme al promotore dell’agitazione (il «movimento per la dignità della docenza universitaria»), ha definito nel dettaglio le modalità per non danneggiare il diritto degli studenti a sostenere gli esami. A questo fine, dopo il 31 ottobre (termine dello sciopero), è stato previsto un appello straordinario. Fino ad oggi i rettori erano intervenuti sulla vicenda solo a luglio, quando avevano chiarito l’intenzione di operare una trattenuta sullo stipendio a chi sciopera. Intenzione ribadita nella lettera del 13.

La Crui giustifica la sorprendente iniziativa sostenendo di essere l’organo rappresentativo dei «datori di lavoro» dei docenti e di avere consultato il ministero per «le vie brevi», dunque non formali. Formulazioni misteriose contestate, punto per punto, dai promotori dello sciopero. «La Crui – sostiene Carlo Ferraro, portavoce del movimento – è un’associazione che, a norma del suo statuto, non è riconosciuta dal codice civile». Le sue regole sono valide per i soci, ma non sono passate a un vaglio esterno. Senza contare che il suo essere «datore di lavoro» è valido per il personale contrattualizzato, non per i docenti. I rettori, anch’essi docenti, sono «primi inter pares» anche se in molti vorrebbero acquisire la postura da «datori di lavoro». «Crediamo – ha scritto Ferraro in un appello ai docenti – che abbiate ora un motivo in più per scioperare e far capire che non siete disposti a farvi limitare da nessuno il diritto di sciopero così faticosamente riconquistato e ora esercitato in forma legittima».