Blocco di tutte le attività e, salvo casi eccezionali, anche degli spostamenti dalle 23 alle 5 del mattino a partire da giovedì 22 ottobre, spazi pubblici chiusi alle 21 e bar alle 18, mentre per il week end è prevista la chiusura dei centri commerciali con l’unica eccezione dei negozi di generi alimentari e di beni di prima necessità. La Lombardia chiede al governo di proclamare il coprifuoco nell’intera Regione, nel tentativo di limitare la diffusione dei contagi da coronavirus. Una decisione presa ieri al termine di una riunione durata più di tre ore tra il governatore Attilio Fontana, i sindaci dei comuni e il Comitato tecnico scientifico sulla spinta anche delle ultime previsioni della «Commissione indicatori», secondo le quali al 31 ottobre nella Regione potrebbero esserci circa 600 ricoverati nei reparti di terapia intensiva e fino a 4.000 in terapia non intensiva. In serata la richiesta, avanzata al governo anche dal presidente dell’Anci Lombardia Mauro Guerra, ha ricevuto il via libera da parte del ministero della Salute: «Ho sentito il presidente Fontana e il sindaco Sala e lavoreremo assieme in tal senso nelle prossime ore», ha confermato il ministro Speranza.

Quanto accade in Lombardia segna in maniera drammatica la conclusione di una giornata durante la quale si è rischiato lo scontro istituzionale tra i sindaci italiani e il governo. Uno scontro nato dalla decisione prevista nell’ultimo dpcm di affidare ai primi cittadini il compito di proclamare eventuali coprifuoco nelle aree a rischio delle proprie città. Una «scorrettezza istituzionale» come l’ha definita subito il presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro, mentre molti primi cittadini hanno parlato senza mezzi termini di un tentativo da parte del governo di scaricare su di loro la responsabilità di una simile decisione.

Alla fine, dopo aver lavorato nella notte di bianchetto sul testo del nuovo dpcm, e passato buona parte della giornata a ricucire il rapporto con i sindaci, quando è sera il governo sceglie di fare retromarcia e di modificare il decreto. Una decisione che a Palazzo Chigi è maturata dopo aver toccato con mano per tutto il giorno il forte malumore presente tra i sindaci. «Ci siamo sentiti con il presidente Decaro e la ministra dell’Interno Lamorgese», annuncia il premier Giuseppe Conte. «Siamo d’accordo e abbiamo concordato un protocollo che consentirà ai sindaci, sentite le Asl, di elaborare una proposta per le piazze, le vie cittadine che più si prestano agli assembramenti. Verrà portato al comitato provinciale dell’ordine e la sicurezza pubblica, per cui nell’ambito di una riunione tecnica verrà rimandato alle forze di polizia di effettuare i controlli e dare attuazione a queste misure».

Mercoledì pomeriggio Conte illustrerà al Senato i contenuti del nuovo dpcm e la stessa cosa farà il giorno dopo alla Camera. Nel frattempo, però, non esclude ulteriori giri di vite, seppure limitati ad aree ben precise. «Dobbiamo essere vigili e agire con adeguatezza e proporzionalità», ha spiegato. «Ci stiamo predisponendo per evitare un lockdown generalizzato, ma non possiamo escludere che se le misure non daranno effetti, e non voglio crederlo, saremo costretti a tararle più efficacemente e magari arrivare lockdown circoscritti».

Il malumore dei sindaci era nato dalla consapevolezza di non avere gli strumenti e i mezzi per poter garantire il rispetto di un eventuale coprifuoco da parte dei cittadini. «Vogliono lasciarci con il cerino in mano», tagliava corto nel pomeriggio il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Nella riscrittura del decreto viene cancellato il riferimento diretto ai sindaci preferendo affidare loro il compito di individuare e segnalare al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza le vie e le piazze a rischio di affollamento, lasciando poi il compito di effettuare i controlli a prefetti e questori. Anche questa nuova versione però non convince tutti i sindaci. «Io preferisco avere la collaborazione delle forze dell’ordine per evitare gli assembramenti, piuttosto che dover piazzare agenti agli ingressi di ogni piazza per chiuderla», è il parere espresso ad esempio dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori.