Puntuale arriva il ricorso della Rwm Italia, l’azienda produttrice di armi con sede legale a Gedi (Brescia) e stabilimento a Domusnovas (Sud Sardegna). La controllata dal gruppo tedesco Rheinmetall si oppone alla decisione presa l’altroieri dal governo di revocare le licenze di esportazione verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti delle bombe prodotte in Sardegna.

«SIAMO DI FRONTE a un provvedimento “ad aziendam”, che di fatto colpisce duramente solo Rwm Italia», dice l’amministratore delegato Fabio Sgarzi. «La decisione – aggiunge -, arrivata sul filo di lana in un momento delicato per l’economia del paese, in piena pandemia e con un governo dimissionario, è inaccettabile anche per la strumentalizzazione politica che se ne sta facendo».
In realtà l’unica vera strumentalizzazione politica la fa la Rwm che da un lato avanza ipotesi a dir poco fantasiose sulle motivazioni della scelta del governo e dall’altro stabilisce un’equivalenza del tutto fuori della realtà tra interessi dell’economia nazionale e interessi dell’industri bellica.

«È incomprensibile – dice Sgarzi – la disparità di trattamento rispetto alle altre aziende italiane del comparto difesa. Per questo, non può essere scacciato, ad oggi, un cattivo pensiero: bisognava sacrificare Rwm Italia per lasciare intoccate le esportazioni delle altre società? In ogni caso, l’interruzione, per la prima volta, di contratti autorizzati da anni, fatta in maniera tale da colpire solo certi prodotti e solo certi paesi, deve mettere in allarme tutta l’industria della difesa e non solo. Un precedente grave, sintomo di scarsa considerazione degli effetti generali delle decisioni prese, che perciò rischia di minare la credibilità dell’industria nazionale, a tutto vantaggio della concorrenza estera. Insomma, un colpo a un pezzo importante della nostra economia con sicuri riflessi negativi sul resto».

E poi la solita arma: la minaccia dei licenziamenti, alla quale, come ormai è prassi consueta da mesi, l’amministratore di Rwm neppure questa volta esita a ricorrere.
A Domusnovas sono impiegati cento tra operai e tecnici, tutti al momento in Cig. Altri cento lavorano nell’indotto e molti di loro non hanno ammortizzatori sociali.

«DOPO LA DECISIONE del governo – dice Sgarzi – chi si trova a sopportare le conseguenze sono le centinaia di lavoratori del territorio e le loro famiglie. Lo stato ha prima reso possibile la crescita dello stabilimento, autorizzando contratti pluriennali, e poi ha annullato tutto, come se niente fosse. Nei diciotto mesi di sospensione della produzione che hanno preceduto, sempre per decisione del governo, la revoca dell’altro ieri, siamo stati costretti a ricorrere alla Cig. Per tutto questo tempo il governo è stato inerte, non avviando alcuna iniziativa per contenere i danni economici e occupazionali derivanti dalle sue stesse decisioni. Ora la revoca: un provvedimento ingiusto e punitivo».

I SINDACATI avranno a breve un incontro la Rwm per fare il punto. Lo annunciano Emanuele Madeddu per la Cgil e Vincenzo Lai per la Cisl, entrambi segretari territoriali per il Sud Sardegna. «Noi crediamo – spiegano – che occorra ripartire della richiesta, avanzata la scorsa estate ai sottosegretari Todde (ministero per lo Sviluppo economico) e Calvisi (Difesa), di individuare un percorso di riconversione attraverso il quale inserire le professionalità e le lavorazioni di Domusnovas nel sistema di difesa italiano e della Nato».

«Pensiamo – aggiungono Madeddu e Lai – che pur rispettando le decisioni del governo sia necessario dare risposte alle lavoratrici e lavoratori di Domusnovas. Quando si affrontano problemi come quello che abbiamo davanti occorre vederli nella loro complessità: bene tenere presenti le questioni etiche, ma guardiamo anche al futuro delle famiglie delle 200 persone alle quali lo stabilimento sardo dà occupazione».

RISPOSTE, quelle sollecitate ora dai sindacati, che i gruppi pacifisti operanti sul territorio – Comitato per la riconversione della Rwm e Sardegna pulita – chiedono da anni, inascoltati non solo dall’azienda e dai vari governi nazionali, ma anche dai sindacati.