È l’automatismo per cui ogni 40enne sa che andrà in pensione alla veneranda età di 70 anni. Tecnicamente si chiama adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita: si vive di più quindi si deve andare in pensione più tardi. È un pilastro della riforma Fornero. Ma inizia a scricchiolare. E parecchio.

Tanto che ieri è nato un fronte parlamentare bipartisan per modificarlo. Iniziando ad evitare il prossimo adeguamento: quello che dal primo gennaio 2019 aumenterà da 66 anni e 7 mesi a 67 anni: ben 5 mesi. Per farlo i tempi sono stretti: la nota congiunta dei direttori dei ministeri di Economia e Lavoro verrà redatta entro la fine dell’anno.

A lanciare l’appello al governo e a cercare in parlamento la maggioranza per cambiare è stata una «strana coppia». L’autodefinizione è di Cesare Damiano (Pd) e Maurizio Sacconi (centrista alfaniano Ap), accomunati dall’essere attualmente presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato e dall’essere stati ministri del Lavoro in epoche diverse.

Per la verità Sacconi è stato artefice di (o ha appoggiato) parecchi innalzamenti di età pensionabile nei governi Berlusconi, ma ora sembra essersi ricreduto. «Occorre tornare a una logica di umanità, troppa tecnocratica ci ha portato oltre, producendo una vera condizione emergenziale».

Più coerente è Cesare Damiano che dalla denuncia del dramma degli esodati si è sempre battuto per modificare la riforma Fornero. «È un problema che interessa milioni e milioni di persone, non solo coloro che stanno per andare in pensione ma soprattutto i giovani», spiega. «È estremamente contraddittorio che si sia fatta una battaglia per la flessibilità con l’introduzione dell’Ape e insieme ci sia l’innalzamento automatico dell’età della pensione: è un andamento a zig zag inconcepibile».

A sostenere la causa arriva anche Giorgio Aiuraudo di Sinistra Italiana. «Aderisco all’appello di Damiano e Sacconi perché alzare ancora l’età è da irresponsabili. Già oggi in Italia si lavora molto di più che negli altri paesi europei, semmai andrebbe cancellata la legge Fornero per permettere a chi ne ha i requisiti di andare in pensione prima».
In Austria infatti l’età di pensione è di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne; in Belgio e in Danimarca è 65 anni per tutti; nel Regno Unito 65 anni (ma a partire da novembre 2018); in Germania si arriverà a 67 anni solo nel 2029. A essere penalizzate sono soprattutto le donne, «più degli uomini condannate alla pensione di vecchiaia mentre molti uomini possono cogliere l’opportunità dell’anzianità contributiva maturata».

Per Damiano «la strada da percorrere è quella di raccogliere il maggior consenso parlamentare, poi le modalità possono essere studiate partendo dal congelare lo scatto del 2019». La via maestra è la prossima legge di bilancio magari già modificando la norma che tramuta in mesi l’adeguamento, trasformandolo da biennale a quinquennale. Conti alla mano però azzerrare i 5 mesi del 2019 equivale a mandare in pensione 300mila persone in più l’anno per una spesa fra 1,2 e 1,5 miliardi l’anno.

La svolta parlamentare arriva sotto il pressing dei sindacati che ne hanno fatto una bandiera unitaria. Ieri al ministero del Lavoro è andato in scena l’ennesimo tavolo tecnico della Fase 2 della trattativa sulle pensioni. «Sono mesi che attendiamo che il governo dica la sua sulle nostre proposte – spiega il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli – . Entro fine mese ci sarà prima un tavolo tecnico e poi un incontro politico fra ministro Poletti e segretari generali. Speriamo che finalmente arrivino le prime risposte». Le veline governative parlano di meccanismi per agevolare l’uscita delle donne attraverso l’Ape Social. Ma niente di più. Domani Cgil, Cisl e Uil faranno il punto sulle pensioni con un attivo nazionale di quadri e delegati.