Il tribunale di Milano, pochi minuti dopo le 13 di ieri, ha assolto Berlusconi da tutte le accuse in merito al caso Ruby. È stata così cancellata la condanna a 7 anni inflittagli in primo grado il 24 giugno 2013. Nel dettaglio, riguardo al reato di concussione per costrizione, i giudici hanno deciso in appello che «il fatto non sussiste». Per la prostituzione minorile, che «il fatto non costituisce reato», sposando quindi la tesi che anche laddove ci fosse stato un rapporto sessuale con la giovane marocchina, l’ex Cavaliere non fosse a conoscenza che la ragazza era minorenne. Presupposto, quest’ultimo, alla base dell’illecito che gli veniva contestato.

In Italia, ricordiamo, la prostituzione di per sé non costituisce reato. Con l’assoluzione, viene di conseguenza cancellata anche la tanto temuta interdizione perpetua dai pubblici uffici, inflitta all’ex premier in primo grado. Ma soprattutto una condanna, che fosse diventata definitiva gli avrebbe fatto perdere i benefici di quella Mediaset, facendogli rischiare fino a 10 anni di arresti domiciliari. La strategia più tecnica e sobria rispetto al passato, del collegio difensivo guidato per questo secondo grado dal professor Franco Coppi, ha quindi dato i suoi frutti. Il penalista che ottenne la parziale assoluzione di Giulio Andreotti, dall’accusa di consorso esterno in associazione mafiosa, parla di un risultato «oltre le mie più rosee previsioni». Ma nega, viceversa, l’inversione di rotta: «Abbiamo usato i motivi d’appello scritti da Ghedini e Longo a cui va riconosciuto il merito di questa assoluzione», dando così il merito della vittoria ai due storici avvocati, nonché parlamentari del Cavaliere, che si erano fatti da parte in quanto indagati nel cosiddetto «Ruby Ter» sulla corruzione di testimoni. Per capire come mai i due collegi giudicanti siano arrivati a conclusioni diametralmente opposte, bisognerà attendere le motivazioni della sentenza, annunciate entro 90 giorni. Soltanto dopo, la procura deciderà se presentare ricorso in Cassazione. Nel frattempo, le possibili letture della decisione si sprecano. Anche perché, tra i due gradi di giudizio, il quadro probatorio è rimasto invariato. In procura a Milano, ieri c’era persino chi faceva notare la diversa maggioranza nei due collegi giudicanti: tutto al femminile in primo grado (Giulia Turri, Orsola De Cristofaro e Carmela D’Elia), a maggioranza maschile nel secondo (Enrico Tranfa, Alberto Piccinelli e Concetta Lo Curto).

Per un reato, la prostituzione minorile, che veddrebbe le donne più propense a una lettura maggiormente restrittiva della norma sul «dolo alternativo ed eventuale», attribuito a Berlusconi nel primo grado di giudizio sulla base di due sentenze della Cassazione del 2006 e 2011, secondo le quali «era sufficiente che l’autore del reato accettasse anche solo il rischio di compiere atti sessuali con soggetto minore di età». La battaglia tra accusa e difesa si è basata esclusivamente su due punti. Il primo è la consapevolezza da parte di Berlusconi che la ragazza avesse 17 anni al momento del presunto rapporto sessuale, per la procura avvenuto in cambio di versamenti di denaro («circa 3.000 euro a volta»), ammessi dallo stesso ex Cavaliere («57.000 euro ma per l’apertura di un centro estetico»). Lo dimostrerebbero una serie di telefonate depositate in cui Ruby si rivolge ai suoi interlocutori con frasi come «io ho negato il fatto che Silvio sa che sono minorenne», uno dei suoi primi interrogatori nel quale afferma «di aver rivelato a Berlusconi di avere 17 anni la seconda volta che era andata ad Arcore». Infine, il fatto che ne fosse a conoscenza Emilio Fede (condannato a sua volta a 7 anni in primo grado nel Ruby bis), che l’aveva fatta conoscere all’ex premier, accompagnandola nella sua residenza il 14 febbraio 2010.

La difesa ha viceversa sostenuto lo scorso 15 luglio, nell’arringa difensiva durata appena un giorno, che le parole di Ruby sono state usate «a corrente alternata (…) solo quando ammette e mai quando nega». Abbiamo però già ricordato che è in corso un’indagine (Ruby ter) per corruzione di testimoni che riguarda anche le successive ritrattazioni della giovane marocchina, come del resto le dichiarazioni rese da altre partecipanti a quelle feste. Il secondo reato contestato è la concussione, costata a Berlusconi 6 dei 7 anni in primo grado. L’accusa si basa sulla telefonata del 27 maggio 2010 che portò al rilascio di Ruby e alla sua consegna all’ex consigliera regionale Nicole Minetti, nonostante la giovane (allora minorenne) fosse stata fermata dalla polizia per furto. È la famosa chiamata nella quale l’ex Cavaliere dice al capo di gabinetto della Questura di Milano, Pietro Ostuni: «Conosciamo la ragazza, ci è stata segnalata come la nipote di Mubarak».

Per i giudici di primo grado, con questa frase, paventando un possibile incidente diplomatico, Berlusconi avrebbe «asservito la pubblica funzione ad un interesse del tutto privato», peraltro con la «aggravante di averla posta in essere allo scopo di assicurarsi l’impunità del delitto di prostituzione minorile». Mentre il funzionario avrebbe «aderito», temendo di «subire pregiudizi in ambito lavorativo». In aula, la difesa ha invece sostenuto che «la tesi dell’ordine perentorio è un’invenzione della sentenza», in quanto «non ci fu minaccia, ma fu il timore reverenziale» che portò Ostuni a sollecitare l’affido di Ruby. Se l’ha poi fatto «temendo per la sua carriera, sono fatti suoi».