«In questo periodo è facile organizzare velocemente le interviste!». È di buon umore Stefano Bollani. La conversazione, combinata in poche ore, parte come un up-tempo in cui spesso sono le risposte a incalzare le domande. Durante il lockdown ha più volte rimarcato, non solo metaforicamente, il potere terapeutico della musica. Questa, sostiene: «Accende immediatamente dei ricordi, ti fa sognare, e in questo momento abbiamo bisogno di qualcosa che ci rilassi, donandoci la fiducia e l’audacia necessarie ad affrontare il dopo».

UN «DOPO» che per il settore culturale ha ancora la vaporosità del miraggio. Il virus ha messo la sordina anche ai concerti del pianista costringendolo a sospendere il tour europeo anche se in questi giorni – con i rigidi limiti dei protocolli per l’emergenza sanitaria – ha potuto pianificare tre date: il 19 luglio a Roma, il 25 luglio a Ravenna e il 1 agosto a Grado. Eppure le sue parole sono immuni dall’ansia, e l’entusiasmo — parola chiave del suo lessico — è tangibile. Così il desiderio di condividerlo nuovamente col pubblico. Un’altra parola chiave, gioco, viene sempre contrappesata da lavoro. A tal riguardo, cita Count Basie: «Quando presentava la sua big band, diceva: “siamo così felici di suonare qui che abbiamo deciso di farlo gratis!”. Poi, dopo l’applauso, aggiungeva: “Però vogliamo essere pagati per i tanti chilometri fatti in furgone!».

IN ATTESA che l’indotto musicale possa ripartire, Bollani continua a impegnarsi su più fronti. Domenica 31 maggio è stato direttore per un giorno di Rai Storia, come già in precedenza Nicola Piovani, Luca Zingaretti, Pupi Avati e altri. «Un palinsesto impegnativo», e non esclude il ritorno al medium televisivo: «Mi piace raccontare le cose che mi entusiasmano, parlare degli artisti che amo, come ho fatto per questo palinsesto. Benché non fosse nei miei piani in questi mesi, avendo un tour con tante tappe già fissate».  Nelle tre date programmate dopo lo stop al tour europeo, farà rivivere il «suo» Jesus Christ Superstar, altissimo lavoro di rilettura e riscrittura dell’opera rock di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, «una di quelle cose la cui percezione cambia continuamente. Io che ne sono un fan da più di trent’anni, ogni volta che la ascolto la trovo fresca, ricca di spunti di riflessione. Studiandola per poi rimasticarla in questo disco, ho scoperto cose che da ascoltatore avevo trascurato. Una quantità di informazioni, sia musicali sia testuali, che la rendono sempre interessantissima». Dettagli come «pepite» su cui costruire, sviluppandole con acume: «Ad esempio nel finale di Heaven on their minds c’è una parte dal sorprendente sapore di danza orientale, con i coristi che battono il ritmo con le mani… Io l’ho modificata affidandola alla sola mano sinistra, lasciando la destra libera di improvvisare su quell’ostinato… una coda che dal vivo prolungherò ancor di più». Pur spogliata dal testo, la trama musicale dimostra inossidabile coesione, ancor più evidente anzi, nella nuova veste tutta strumentale: «È emerso tutto spontaneamente. Sono andato finalmente a studiare gli originali, scrivendomi delle strutture su cui ho improvvisato per tutta la durata dell’opera. Quello che senti nel disco è una take con pochissimi rifacimenti, quasi un concerto dal vivo. Il solo punto su cui mi sono incastrato un po’ è Superstar, unico brano cantato». Alla voce di Stefano fanno da contraltare quelle di Valentina, Manuela e Frida, rispettivamente moglie, sorella e figlia del musicista. La sua traduzione pianistica ha il merito di restituire la varietà di caratteri, toni e registri dell’originale. A partire dalla satira contro il potere, «rappresentato generalmente con toni da cabaret», qui resa con un pianismo in stile strive, molto anni Trenta.

SUONO CALDO, avvolgente, ricco di armonici, anche per la scelta di accordare il pianoforte a 432 Hz, frequenza «illegale» da molti però ritenuta maggiormente in sintonia con le vibrazioni naturali, e perciò capace di stimolare capacità psichiche e cognitive. Sarà possibile, alla ripresa dei concerti, proporre l’opera con questa intonazione? «Mi piacerebbe molto. Dal vivo però è difficile trovare pianoforti accordati a questa frequenza. Quando a partire dalla fine dell’Ottocento è nato il bisogno di stabilire un’accordatura standard, alcuni congressi l’hanno progressivamente alzata, fino a portarla a 440 Hz. Ma secondo me funziona meglio a 432, anche per l’organismo… è un argomento molto importante, anche molti scienziati propendono per questa accordatura». Una pillola del Bollani divulgatore, il cui principio fondante è lo stesso dell’interprete musicale: «Tramandare ciò che davvero ti entusiasma, solo così puoi dare un esempio, essere un vero “maestro”. Non è il contenuto di quello che tramandi ma l’entusiasmo con cui lo trasmetti». Si torna di nuovo lì, all’esigenza di condivisione con il pubblico. «Sul palco in teoria c’è un leader, ma è più che altro un catalizzatore di informazioni, in realtà è uno scambio continuo da parte del gruppo». Essere sul palco, conclude Bollani, «è come vivere in una società ideale».