Un patto, quello «degli Apostoli» (il copyright è di Pippo Civati) contro quello del Nazareno, e pazienza se nei vangeli la storia andava in un altro verso; un tour in giro per il paese a raccontare che gli italiani non sono solo i follower di Renzi; un programma (per Civati è quello del centrosinistra abbandonato dal Pd per allearsi con le destre, ma su questo ci sono opinioni diverse). E innanzitutto un impegno: quello di «andare fino in fondo». Almeno stavolta: lo chiede chiaro alla politica, ma anche alla ’sua’ Cgil, Maurizio Landini dal palco di piazza Santi Apostoli a Roma. Dove ieri pomeriggio Nichi Vendola lancia la proposta di una «coalizione dei diritti e del lavoro». «È il momento della coerenza, di quando si fa quello che si dice», dice il leader Fiom e a qualcuno della sinistra Pd fischiano le orecchie, «mi sono stancato di chi che ci dà la solidarietà poi allarga le braccia», «noi facciamo sul serio. E dopo il 25 ottobre non ci fermiamo».

Landini parla dell’art.18 e della manifestazione della Cgil del 25 ottobre, perché «il dottor Renzi sta impedendo di essere cittadini liberi nel luogo del lavoro». Ma non solo di questo: chiede al premier di non rispettare il vincolo europeo del 3 per cento, «se si fanno i complimenti alla Francia poi bisogna essere conseguenti». Il leader sindacale – applauditissimo, personaggio cult ostinatamente corteggiato da questa sinistra – ce l’ha con la politica, ma anche con il suo sindacato, perché «continuare a dire che le cose non vanno bene e poi accompagnare questi provvedimenti è come quando Cgil, Cisl e Uil dissero che la riforma Fornero sulle pensioni non andava bene e poi abbiamo fatto tre ore di sciopero. Una cavolata». Prima del 25 però c’è il 10 ottobre, la mobilitazione degli studenti, avvertono Danilo Lampis dell’Uds e Mapi Pizzolante di Tilt, rete di associazioni giovanili, che si scatena contro la «precarietà, una scelta politica: questo governo vuole rendere tutti ricattabili».

 

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La piazza romana, che fu già quella dell’Ulivo di Prodi e del centrosinistra, non è tutta piena: per convincere lo sballottato e sfiduciato popolo delle sinistre che è la volta buona, in senso non renziano, ce ne vorrà. Per strappargli un sorriso, dal palco, c’è la satira di Francesca Fornario. Civati si prende un impegno: «Vi propongo un patto degli Apostoli, laico trasparente e democratico che ci faccia riprendere valori e principi. Un patto che si consolidi subito nelle battaglie parlamentari». E nel paese: «Ci vuole una mobilitazione sociale: giriamo insieme l’Italia, spieghiamo le nostre posizioni, e facciamolo insieme». Anche lui batte il tasto della coerenza: «Perché qui siamo i soli che rispettano il patto con gli elettori che, nel 2013, ci hanno portato in parlamento». Ancora a proposito di coerenza, Vendola attaccherà il premier e le sue «parole ad Assisi. Ma come si fa a citare San Francesco», ieri era il santo del giorno, « e contemporaneamente a non mettere al bando gli F35, un pessimo contributo a tutte le guerre?».

Al prossimo giro «mi voglio presentare con Vendola, non con Verdini», chiosa alla fine Pippo Civati. L’interpretazione autentica della frase sarà il gossip politico dei prossimi giorni. Del resto è un fatto che Civati è l’unico del Pd a scalare il palco degli Apostoli (in piazza ci sono anche Corradino Mineo e Vincenzo Vita). Stefano Fassina era stato invitato: ma ha preferito essere a Bologna all’appuntamento della corrente di Gianni Cuperlo (dove in mattinata è andato anche Landini), «per evitare strumentalizzazioni». Quella sinistra Pd – si consiglia di prenderne atto – la battaglia sulla legge delega la farà rigorosamente dentro il partito. Quanto invece ai militanti dem, è cronaca di questi giorni la fuga dai circoli e il crollo delle tessere. Il premier-segretario non se ne preoccupa, rivendicando il suo smagliante 40,8 delle europee.

Dunque sulla carta la «svolta a destra di Renzi», così la definisce Vendola, («una sinistra che dimagrisce i diritti si chiama destra» e contro l’accusa di essere vecchi arnesi rossi risponde che «la modernità è iniziata quando la povera gente ha capito che poteva pronunciare la parola libertà»), insomma la «svolta a destra di Renzi» in teoria dovrebbe spalancare praterie a sinistra. Questa è la scommessa, almeno. E però Vendola sembra aver fatto tesoro delle tante sconfitte, e anche delle poche vittorie della sua parte. Dal palco la Lista Tsipras, di cui Sel continua a essere azionista, non viene nominata. Sul manifesto l’ha definita «una semina». Curzio Maltese, unico dei tre eletti a Bruxelles presente in piazza, alla fine non interviene (è arrivato in ritardo, viene spiegato).

La novità di giornata, quindi, è che Sel propone un nuovo «percorso». In fondo è lo stesso tentativo lanciato nel 2009 con la nascita del «partito che riapre la partita a sinistra», dopo i disastri dell’arcobaleno e quelli seguenti; e mai andato in porto fin qui. Vendola però giura che «non siamo venuti a mettere un cappello, non ci mettiamo alla testa di nessun cantiere». «Non vogliamo morire di governismo ma neanche di estremismo». Oggi per esempio in Calabria Sel partecipa le primarie di coalizione con Gianni Speranza. E infatti il passaggio, all’orecchio allenato, spiega che la proposta è aperta a chi «non vuole guardare indietro e non vuole giocare la partita che Renzi ha pensato per noi», quella della sinistra incoalizzabile e d’antan (questo lo sottolinea Simone Oggionni, capo dei giovani comunisti del Prc, presenza significativa sul palco: nella sinistra radicale qualcosa si muove, e infatti nella piazza c’è anche Claudio Grassi, capofila di una minoranza rifondarola). La proposta di Vendola «una rete organizzata di quelli che non accettano le politiche economiche conservatrici di Renzi, per rimettere in piedi la sinistra del futuro». E se Renzi non è – come sostengono i suoi spin – l’ultima occasione per l’Italia, questa invece ha tutta l’aria di essere l’ultima chiamata per questa sinistra.