Dopo l’ultimo Dpcm del 3 novembre sulla pandemia volano gli stracci. Fontana – quello che i dissenzienti sono tutti cialtroni – lamenta uno schiaffo alla Lombardia. Si aspettava forse una medaglia per il primato nelle classifiche del contagio? In Calabria emergono strani riconteggi, che in poche ore fanno calare da 26 a 10 l’occupazione dei posti in rianimazione. Pare che il miracolo accada contando solo gli intubati, e non anche quelli col ventilatore, che pure occupano un letto. Un gioco di prestigio sanitario forse per sottrarsi alla zona rossa, poi comunque disposta per la regione.

In Campania De Luca invita i sindaci a predisporre la chiusura dei lungomare e di parte dei centri storici nei fine settimana. “Rimango convinto della necessità di misure nazionali unitarie, anche più rigorose, per una azione più efficace di contrasto al Covid … “. Un disastro di proporzioni bibliche è dietro l’angolo. Armiamoci contro il governo, e partite voi. E supponiamo che a Bolzano il presidente provinciale Kompatscher sia tuttora convinto di doversi allineare per il lockdown soft con Germania e Austria, come ha dichiarato il 29 ottobre. Vuoi mettere la Merkel con un Conte qualunque?

Accade che le convenienze degli attori politici sono cambiate radicalmente con la violenta ripresa del contagio. Quando all’avvio della crisi v’è stato consenso per le restrizioni, governatori e sindaci sceriffo hanno guadagnato visibilità e gloria. Quando si è chiusa la fase 1 e si è intravisto un ritorno alla quasi-normalità, strappare un’apertura di esercizi commerciali più lunga o qualche percento di maggiore occupazione dei posti nel trasporto pubblico era pagante e appagante.
A tutti andava bene il labirinto di comitati, cabine di regia, conferenze che reggeva la concertazione permanente tra esecutivi. Contesto perfetto in cui reclamare vittorie e seppellire responsabilità, per la gestione di ieri gravemente in danno del sistema sanitario nazionale, e per quella della crisi di oggi. Andava bene anche a Palazzo Chigi, consentendo all’esecutivo e al premier di galleggiare sereni – con poche eccezioni – su un mare di Dpcm, decreti e ordinanze delle più varie autorità. Non importava che alla fine si ammutolisse così anche il parlamento rappresentativo.
Il giocattolo si è rotto con il dilagare del contagio.

È stato subito chiaro che le nuove restrizioni erano male accette in un paese stanco per quelle passate. In tale contesto tutti i governanti volevano le chiusure, purché decise da altri. Il più classico degli scaricabarile. Con buona pace della moral suasion di Mattarella sul confronto, la leale cooperazione, e l’unità. La politica di un tempo avrebbe ascoltato. Quella di oggi no.
Bene ha fatto il governo a battere un colpo decidendo di governare. Si prevede un meccanismo semiautomatico fondato sui dati e sul rischio pandemico. Si chiudono le trattative semi-private e le concertazioni infinite tra esecutivi, con il premier sostanzialmente come arbitro piuttosto che titolare di un indirizzo politico, e custode dell’interesse nazionale.

Conte ha puntigliosamente specificato in conferenza stampa che non c’è alcun negoziato sulla salute dei cittadini, ed è vero. Il ministro della salute adotta decreti previo il solo parere delle regioni, dal quale non è vincolato. Ma è giusto così, perché non si possono esporre diritti fondamentali come la salute, l’istruzione, la mobilità, il lavoro alle partite giocate da maggioranze diverse tra centro e periferia, o peggio ancora alle strategie di guadagno politico di questo o quel personaggio. Vedremo poi se il governo avrà la forza di applicare davvero e fino in fondo il dettato del Dpcm.
In ogni caso, la propensione alla concertazione a tutti i costi – copyright Boccia? – non portava alla buona salute dell’esecutivo, ma al suo progressivo deperimento, insieme al parlamento che è la vera base per la sua forza. Sarà bene che i leaders della maggioranza se ne ricordino, posto che le riforme in campo dopo lo sciagurato taglio del parlamento possono realizzare una riduzione del danno solo parziale.

Sarebbe anche un’ottima idea togliere dal tavolo la proposta di un collegato al bilancio per l’autonomia differenziata. La fretta sarebbe pessima consigliera. La pandemia ha segnalato errori evidenti, egoismi territoriali, e una intollerabile cacofonia istituzionale. È la prova che le pulsioni separatiste sono l’ultima cosa di cui il paese ha bisogno, oggi e domani.