Giorgio Napolitano sarà ascoltato dai pubblici ministeri di Palermo che indagano sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia. A renderlo noto ieri è stato lo stesso presidente della Repubblica con una lettera inviata al presidente della corte di Assise di Palermo che il 17 ottobre scorso, accogliendo la richiesta fatta dalla procura siciliana, aveva ammesso la testimonianza al processo del capo dello Stato pur limitandola all’interpretazione di alcune frasi scritte in una lettera allo stesso Napolitano dal suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio. Nella lettera al presidente della Corte, Napolitano spiega di essere «ben lieto di dare, ove ne fosse in grado, un utile contributo all’accertamento della verità processuale», sottolineando però «i limiti delle sue reali conoscenze in relazione al capitolo di prova testimoniale ammesso».
Quella di Napolitano sarà la prima deposizione di un presidente della Repubblica ancora in carica a un processo e avverrà, come prevede la legge, al Quirinale. Si tratterà però, come detto, di una testimonianza molto «stretta», visti a i paletti che la stessa Corte di Assise ha posto ai pubblici ministeri facendo propri i recinti imposti dalla sentenza con cui nel dicembre scorso la Corte costituzionale ha sciolto il conflitto di attribuzione tra la procura di Palermo e il Quirinale: ammettendo la deposizione «nei soli limiti delle conoscenze del teste che potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali e dalla riservatezza». Il che significa fuori dalle funzioni presidenziali o prima di essere nominato Capo dello Stato.
In pratica a Napolitano non potranno essere rivolte domande né per quanto concerne il contenuto delle telefonate avute con l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino – indagato nello stesso processo per favoreggiamento – né, come ha già spiegato il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, sui colloqui avuti con D’Ambrosio prima della lettera scritta da quest’ultimo il 18 giugno del 2012, quando affermò di «essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi» tra il 1989 e il 1993, gli anni delle stragi di mafia.
«La lettera del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al presidente della Corte d’Assise di Palermo mette a tacere tutti coloro che hanno voluto spargere veleni e illazioni sul suo operato e di quello del suo collaboratore giuridico, Loris D’Ambrosio», ha commentato Laura Garavini, deputata del Pd, componente della Commissione Antimafia.