Non è sopravvissuto al vaglio del Quirinale l’articolo 16 del decreto “Rilancio” che nel testo approvato dal Consiglio dei ministri, ormai una settimana fa, lasciava aperta la strada per una proroga alla chetichella dello stato di emergenza per il Covid-19. Quell’articolo, dove si disponeva la proroga di sei mesi di tutti gli stati di emergenza che si sarebbero dovuto concludere entro il 31 luglio e non più prorogabili, è sparito. Prova ulteriore di quanto il testo entrato nel Consiglio dei ministri di mercoledì 13 maggio, presentato quella sera da Conte in conferenza stampa, sia stato poi riscritto più e più volte fino alla bollinatura ieri sera della Ragioneria dello stato.

Non solo problemi di copertura, ma anche le perplessità degli uffici legislativi del Colle, sollevate nei giorni scorsi anche da alcuni giuristi, hanno rallentato il cammino di quello che doveva essere il “decreto aprile” che così vede la luce a fine maggio.

La proroga è rimasta, ma adesso riguarda senza alcun possibile dubbio solo gli stati di emergenza locali che erano già in piedi al momento dell’esplosione della pandemia. La riforma della Protezione civile del 2018 prevede che lo stato di emergenza possa durare al massimo di dodici mesi prorogabili per altri dodici, il che significa che in almeno quattro casi (gli stati di emergenza per la contaminazione da Pfas nel Veneto, per il terremoto di Campobasso e per eventi meteorologici in Emilia e Piemonte) che arrivano a scadenza durante la pandemia la contabilità speciale prevista in questi casi andrebbe chiusa. Il decreto “Rilancio” regala una proroga. Ma stabilisce adesso, in quello che è il nuovo articolo 14, che la proroga vale solo per gli stati di emergenza «diversi da quello dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 per il Covid-19» in modo tale da impedire interpretazioni ambigue ed estensive.