Poche cose sono più scoraggianti del dibattito pubblico sulle elezioni europee. Ci saranno anche due idee d’Europa a confronto, ma con un dibattito ridotto a un tira e molla fra più sovranità e più integrazione e solidarietà, sono due idee poverissime.

Peccato. Perché oggi l’Unione europea, in quanto è il lungo, lento processo di costituzione di una Federazione degli Stati uniti d’Europa, è almeno virtualmente il più grande e innovativo laboratorio politico del mondo. E’ il vero e proprio cantiere di un edificio politico architettato dalla filosofia: cioè dall’anima universalistica del pensiero politico, che è almeno tendenzialmente cosmopolitica.

Cosmopolitica è in effetti la forma di una civiltà fondata in ragione, vale a dire, semplicemente, sulla nostra capacità di chieder ragione agli altri e a noi stessi di ogni azione e di ogni affermazione – e di chiederla in particolare a chi prende decisioni che influiranno sulla vita e il destino di tutti. La domanda di ragione e giustificazione è quanto di più universale ci sia: è, potremmo dire, costitutiva della mente umana, della stessa lingua umana, la sola fra i linguaggi animali che possiede il tono e il simbolo dell’interrogativo: “Perché?” Perché mi fai questo? Perché devo soffrire questo? Esser nato in un deserto, o in una contrada afflitta da massacri e guerra, è un accidente: l’accidente della nascita.

MA LA CAPACITÀ DI CHIEDERE “perché” e di dire “non è giusto”, è universale, la vediamo risvegliarsi prestissimo in ogni infanzia umana, a qualunque latitudine. Può l’accidente della nascita determinare il destino di un uomo? E’ lecito? E’ questa l’ultima frontiera della domanda di giustizia, e quindi della ragione pratica. Ogni ingiustizia si lega all’accidente della nascita: per questo nessun verbo è più normativo e meno descrittivo, più razionale e meno fattuale di quel “nascono liberi e uguali in dignità e diritti” che definisce gli umani nel primo articolo delle Dichiarazione Universale del ’48. La (pari) dignità: il primo dei sei valori intorno a cui si organizza la Carta dei Diritti dell’Ue (2000), che insieme all’ultimo – giustizia – racchiude e riassume le generazioni dei diritti e le epoche della loro conquista: libertà (i diritti civili), eguaglianza (i diritti politici), solidarietà (i diritti sociali) – e infine il diritto di avere dei diritti, una cittadinanza. Che spetta in linea di principio agli umani come tali, non agli italiani o ai turchi.

L’anima d’Europa è in questo senso essenzialmente cosmopolitica: nasce dall’idea più illuminata della Modernità – che là dove c’è la selva geopolitica delle potenze, regolata da rapporti di forza e di precario equilibrio, dovrà vivere l’imperio della legge. E non certo quella di un solo Leviatano, ma quella che disarma i leviatani, federando Repubbliche vincolate in primo luogo dall’universalità dei diritti opposti agli accidenti della nascita. Questo è in fondo il senso dell’incipit del Manifesto di Ventotene:

“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero”.

TROPPO POCO SI È COMPRESO, a mio avviso, della profondità di questa versione di liberalismo politico, che qui chiamerò, riutilizzando questo termine in senso completamente autonomo da quelli in cui è finora comparso, personalismo politico. Ne traluce un barlume da una lettera che Spinelli scrisse a Wilhelm Röpke (più tardi ispiratore di Konrad Adenauer) il 24 novembre 1943:

“Quando sono andato in prigione io ero un marxista ortodosso, pieno di quel fervore e intolleranza che è caratteristico di tutti quelli che credono di aver trovato la chiave che apre tutti i segreti (…) In prigione ho avuto modo di studiare, di riflettere, di guardare con un certo distacco le cose degli uomini.
Gli studi storici e gli avvenimenti contemporanei dell’Italia, della Germania, della Russia mi hanno fatto comprendere che vi era nella nostra civiltà qualcosa di molto importante che minacciava di crollare e che bisognava, al contrario, difendere e salvare a tutti i costi: quella che lei ha chiamato la “Persönlichkheitszivilisation”.

La civiltà della persona, cos’è? Guardiamoci intorno. Come deve essere ridotta una democrazia in cui non è permesso, durante una pubblica manifestazione, esporre una bandiera dalla scritta innocua come “restiamo umani”, se sgradita ai capi-popolo di turno al governo? Non è una bella umanità quella espressa dalle urla dei capi e del popolo di queste piazze. Ecco cosa videro i padri iniziatori di quel processo di costituzione degli Stati uniti d’Europa che si è inceppato.

LA DEMOCRAZIA, CON TUTTE LE SUE INSUFFICIENZE, non è soltanto un sistema di governo: è l’aspetto politico di una civiltà umanistica, è il mezzo per consentire l’accesso del più largo insieme possibile di persone all’esercizio effettivo della sovranità esistenziale e politica: alla libertà responsabile, rispettosa dell’umanità in se stessi come negli altri, pur irriducibilmente plurali perché individuati, incarnati, radicati, passionali – oltre che razionali e morali.
In altre parole, se la democrazia funziona, funziona come un circolo virtuoso, perché promuove la maturazione dei cittadini: di cui ha un disperato bisogno. Ma se questa promozione si inceppa, il circolo si fa vizioso, e le democrazie si suicidano. La “mancata rimozione” degli ostacoli che bloccano lo sviluppo umano, cioè non soltanto economico, ma anche morale e civile, di larghi strati di persone, minaccia le democrazie di degenerazione illiberale, e la civiltà umanistica di implosione.

“PRIMA GLI ITALIANI” È IL GRIDO che meglio esprime l’inizio di questa implosione, e la prova evidente della giustezza dell’intuizione spinelliana: secondo cui la ripresa del processo di realizzazione dell’umanesimo incompiuto richiede una rivoluzione nell’idea stessa di democrazia: e cioè la dissociazione del concetto di sovranità da quello di nazione, e la costruzione di una democrazia sovranazionale in luogo di quell’organismo intergovernativo tanto impotente rispetto ai nazionalismi quanto alle forze multinazionali.

Forse troppo poco si è compreso, ancora oggi, della tragedia che fu la scelta contraria al federalismo europeo, e poi solo marginalmente filoeuropeista, delle sinistre. Della tragedia che è ancora oggi la cecità all’orizzonte cosmopolitico della società giusta.