Nel giro di pochi giorni, e a meno di due settimane dalla fine degli Stati generali, Luigi Di Maio si rimette alla testa del Movimento 5 Stelle.

Lasciate al reggente Vito Crimi le impellenze della gestione della discussione interna sull’evoluzione del grillismo e la lenta, drammatica e ormai quasi inesorabile separazione con Davide Casaleggio, Di Maio si muove a passo svelto e con bagaglio leggero.

Scrive una lettera al Foglio, il giornale che negli anni scorsi ha più di ogni altri ha incubato il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi (avversatissimo dal M5S in versione opposizione) e che adesso spinge per una Forza Italia non egemonizzata dalla destra di Salvini e Meloni. Di Maio ha inviato al quotidiano fondato da Giuliano Ferrara la sua dichiarazione programmatica articolata in dieci punti, un’offerta di dialogo «pur restando ognuno al suo posto (maggioranza e opposizione)». «Ritengo sia giunta l’occasione di compiere uno sforzo in più e impegnarci nella sfida della definizione di un pensiero strategico per il lungo periodo», annuncia il ministro degli esteri.

Di Maio esterna dopo che i 5 Stelle si sono infilati per mesi in tortuosissimo percorso fatto di assemblee locali e incontri nazionali, di documenti di sintesi e minimi comuni denominatori pensati apposta per non implodere, di società di consulenza esperte nella mediazione dei conflitti per sminare ogni possibile conflitto interno. La sua apertura al dialogo che oggettivamente chiude una fase arriva proprio dopo che alla fine di questo cammino, che doveva mostrare la strada maestra anche al governo ma che poca chiarezza ha fatto nei rapporti di maggioranza. È lo schema che, dicono i suoi detrattori interni, l’ex capo politico applica da tempo: aspetta che passi la biriana e si pone alla testa di un M5S sfiancato da discussioni interne un po’ caotiche e poco definite per dire l’ultima parola.

In questo caso riguarda anche i capisaldi della stagione governista del M5S. Persino il reddito di cittadinanza, che Di Maio da ministro del welfare e dello sviluppo economico aveva considerato un suo successo personale. «Credo sia opportuno ripensare alcuni meccanismi – scrive al Foglio – Separando nettamente gli strumenti di lotta alla povertà dai sostegni al reddito in mancanza di occupazione. Già in più di una occasione ho ribadito la necessità di affinare lo strumento del reddito di cittadinanza, motivando i percettori a svolgere lavori socialmente utili». Il testo ha colto nel segno, e raccolto l’adesione dell’economista e deputato berlusconiano Renato Brunetta: «In alcuni passaggi, quasi non credo ai miei occhi – commenta due giorni fa Brunetta al Corriere della sera – Sorprendente, brillante, molto vicino ad alcune posizioni di Forza Italia».

Parole che farebbero tremare qualsiasi grillino. Dal M5S, però, nessuna reazione. Qualche ora dopo Di Maio affida a Facebook un post per chiudere ogni strada alla proposta di tassa patrimoniale ed esprimere la posizione che nel giro di poco diventa quella di tutto il M5S. Ieri giornata europea: Di Maio dichiara a Les Echos e Le Figaro la posizione del M5S e rivela che, conseguentemente al voto di fiducia della maggioranza dei parlamentari europei grillini per Ursula von der Leyen, il prossimo passaggio sarà la scelta di un gruppo a Bruxelles. «È il momento di entrare in una grande famiglia europea per contare di più e far sentire la nostra voce», annuncia Di Maio.

Fino a pochi giorni fa, dallo staff del M5S Europa trapelavano le trattative con i liberali dell’Alde e i Socialisti e democratici. Di Popolari non si parlava, «perché lì dentro ci sono Orbán e Forza Italia».