In un passo memorabile tratto dalle Notizen zu Martin Heidegger, Karl Jaspers scriveva che esiste un altopiano roccioso in cui i «grandi filosofi» s’incontrano per impegnarsi in uno strano combattimento senza violenza dove ne va della serietà degli oggetti più essenziali che l’essere umano possa toccare. Il filosofo di Oldenburg era alla ricerca di una critica capace di attualizzarsi veramente nella sostanza stessa del pensiero, di una lotta capace di rompere l’incomunicabilità di potenze inconciliabili. Si rammaricava del fatto che su quell’altopiano in cui è possibile superare con il pensiero ogni limite senza cadere nel vuoto non ci fosse più nessuno, neanche quell’unico uomo su cui ripose le più grandi speranze giacché, a un certo punto, gli fu chiaro che le potenze che servivano erano inconciliabili e incomunicabili.

A DISTANZA DI ANNI possiamo dire che su quell’altopiano qualche figura luminosa e illustre è riuscita a salire. Tra queste possiamo annoverare senza alcun dubbio Jean Starobinski. Filosofo, saggista, storico delle idee, critico letterario scomparso recentemente all’età di novantotto anni, è riuscito con il suo metodo critico ad attualizzare nel suo lavoro di ricerca la sostanza stessa del pensiero e a farci capire che solo nell’immersione nella profondità è possibile percorrere le vie che conducono sugli altopiani del pensiero. L’accostamento con Karl Jaspers non è né casuale né meramente retorico. Starobinski condivideva con lui lo studio appassionato della psichiatria, in particolare l’accurata analisi del fenomeno psichico della malinconia, e l’idea della filosofia come ciò che rischiara le profondità nascoste della condizione umana, come strada maestra per attingere la perfezione del reale nella sua imprevedibilità. Il suo telos è quello di fornire un maggior numero di libertà, di fare della parola il centro pulsante di un desiderio che abbraccia, senza separarli, la meraviglia del corpo, dell’anima, del mondo.

NATO A GINEVRA nel 1920, è stato uno di quei rari intellettuali che è riuscito a restituirci il senso unitario del sapere di fronte alla sua massima frammentazione e dispersione, a offrire un vero e proprio metodo di indagine per affrontare le molteplici espressioni attraverso cui l’umano spicca il volo quando scopre nella propria coscienza l’esigenza assoluta di libertà e di responsabilità. Fine studioso del Settecento e dell’Illuminismo, di Rousseau e di Montaigne, di Montesquieu e di Stendhal, di Ferdinand de Saussure e di Freud, di Kafka e di Baudelaire, è riuscito a restituirci uno sguardo nuovo sul patrimonio culturale che abbiamo ereditato dal passato. Lo considerava come l’unica arma di cui possiamo disporre per difenderci dai meccanismi psichici che intrappolano e riducono la nostra soggettività e per fuoriuscire dalle derive di grande insensatezza che minacciano la radice civile e politica della convivenza umana. Le pagine magistrali che dedica a quel filo sottile e quasi impercettibile che separa la maschera dal vero volto dell’essere umano, l’arbitrarietà dell’apparenza dalla dura scorza del reale, hanno fatto di lui uno dei maggiori interpreti della contemporaneità. Senza mai abbandonare o denigrare la postura dello scienziato che indaga il reale a partire da un materiale naturalmente dato e di trasparente chiarezza, sapeva che esiste sempre un residuo che sfugge al sapere tecno-scientifico e al suo dominio.

SPORGENDOSI sul versante della filosofia, della psicoanalisi, della letteratura e della poesia, e sapendosi inoltrare anche nei territori più impervi ed enigmatici dell’arte, Starobinski è riuscito a inoltrarsi nel territorio più insondabile e più oscuro dei sentimenti umani e a restituirci il senso vivo e prezioso della cultura che appare in tutta la sua evidenza quando riesce a sbrogliare anche le matasse più intricate. Lontano da qualunque tipo di assolutizzazione e di omologazione a modelli immaginari che non fanno altro che disincarnarci dal nostro essere, la dimensione spirituale e contemplativa, fatta di attenzione e di amore, ha rappresentato per lui un àncora di salvezza contro le molteplici strategie di mascheramento che il sociale impone e propone. Ha così segnalato lo svilimento e la riduzione che si produce quando la dimensione spirituale, incondizionata e libera da cui sorgono i valori più alti della nostra umanità e in cui brilla lo stato aurorale della nostra autenticità, viene messa a tacere e viene offuscata fino a soccombere da false e ingannevoli protezioni.
L’essere umano e il mondo non sono macchine, non sono per nulla il luogo di una nostra assoluta padronanza. Di fronte alla visione meccanica delle cose e di noi stessi rischiamo sempre d’inciampare nella bellezza, nell’ulteriorità di qualcosa che dentro e fuori di noi ci colpisce per la sua cocciuta impertinenza. Un inciampo fortunato che ci apre all’imprevedibilità del reale. Ecco perché Starobinski non ha mai smesso di dirci che solo attraverso una modificazione del nostro sguardo, solo rendendo più acute le percezioni del corpo e della nostra mente, possiamo trasformare la radice della vita sociale e politica.

RISCOPRIRE con sguardo nuovo la realtà è forse il compito più grande che ci ha lasciato in eredità. Un compito che non possiamo eludere e non possiamo mancare perché ne va di noi stessi e del futuro che ormai da troppo tempo abbiamo smesso di pensare con occhi lungimiranti. In quella sua capacità di tenere alta la critica senza mai cedere al disprezzo della parola e degli altri, lo possiamo pensare oggi vicino a un’altra grande intellettuale del secolo scorso, Jeanne Hersch. Non solo hanno condiviso l’origine, entrambi provenienti da famiglie polacche emigrate in Svizzera all’inizio del Novecento, l’impegno nell’Università e nella loro amatissima Ginevra, ma li accomunava anche un tipo di caparbietà segnata dall’amore per la condizione umana nel suo rapporto alla libertà, alla giustizia, alla bellezza e alla verità.

NELLA PREFAZIONE a un piccolo quanto prezioso libro di Jeanne Hersch (La nascita di Eva. Saggi e racconti, interlinea edizioni, 2000), Jean Starobinski ricordava che la parola è riconducile a un’inquietudine primordiale che porta a interrogarci sull’enigma della nostra esistenza. È questa materia enigmatica di cui siamo fatti a tracciare le coordinate dei nostri sconfinamenti che non ci fanno mai sprofondare nel nulla ma, anzi, ci consentono di avventurarci in percorsi inediti e creativi.
Prossimità e separazione, esilio e assenza sono i termini che circoscrivono e sostengono ogni forma di espressività umana in un gioco di luci e di ombre, di sguardi e di silenzi. Perché chi vuole passare oltre – come scriveva in questa prefazione – deve affidarsi alla metafora, deve attendere quegli istanti di grazia in cui, sotto la nostra penna, si libera ciò che mette in luce la libertà dell’uomo.

 

SCHEDA

Letteratura classica e medicina sono gli ambiti in cui un giovane e già brillante Jean Starobinski sceglie di biforcare la propria formazione, nella stessa Università di Ginevra in cui, da lì a qualche anno, sarebbe stato accolto come professore di Storia delle idee. Critico letterario tra i più originali che il Novecento abbia conosciuto, i suoi studi teorici e sulla creazione poetica contemporanea si affiancano a quelli sull’arte del XXVII secolo come a quelli dedicati al Settecento illuminista.

I suoi studi sulla malinconia risentono della sua formazione di medico specializzato in psichiatria. Membro dell’Académie des sciences morales et politiques dell’Institut de France, tra i vari riconoscimenti si aggiudicò il Premio Balzan per la storia e critica delle letterature, infine il Grinzane Cavour e il Grand Prix national des lettres.
La formazione interdisciplinare di Jean Starobinski ha segnato tutti i suoi studi, a partire dalla tesi su Rousseau, poi pubblicata con il titolo La trasparenza e l’ostacolo (Il Mulino, 1981).
Tra i suoi numerosi libri tradotti in italiano, L’occhio vivente (Einaudi, 1975); Tre furori (Garzanti, 1978); l’importante saggio su Montaigne. Il paradosso dell’apparenza (Il Mulino, 1984); 1789 I sogni e gli incubi della ragione (Garzanti, 1981); Ritratto dell’artista da saltimbanco, con una bella introduzione di Corrado Bologna (Boringhieri, 1984); Montesquieu (Marietti, 1989); La malinconia allo specchio (Garzanti, 1990); Storia del trattamento della malinconia dalle origini al 1900 (Guerini e Associati, 1990).

Eccellenti per avvicinare il pensiero di Starobinski, i saggi di Carmelo Colangelo, Jean Starobinski: metodo della critica e critica del metodo, in «Atti dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche», vol.CII, 1991. E Le corps, l’oeuvre, la relation, uno studio sul rapporto con Merleau-Ponty e con l’estetica fenomenologica, in «Compar(a)ison», 2, 1997.
Sempre per le cure di Colangelo si ricorda il volume uscito per Einaudi nel 2001 dal titolo Azione e reazione. Vita e avventure di una coppia; del 2003 Le ragioni del testo (Bruno Mondadori); Le incantatrici (Edt 2007) è una densa riflessione sulla musica dei grandi operisti, da Monteverdi a Haendel, Mozart, Wagner, Strauss. Tra i suoi ultimi libri, L’invenzione della libertà 1700-89 (Abscondita 2008) e L’inchiostro della malinconia (Einaudi 2014.