Hanno fatto la storia della comicità, pur chiamandosi in modo diverso in ogni paese (Dick und Doof in Germania; Flip I Flap in Polonia; O Gordo e o Magro in Brasile; Stanlio e Ollio in Italia). Quando parte The Cuckoo Song, la loro inconfondibile sigla, il buonumore comincia a farsi strada. Ancora oggi in tutto il mondo sono celebrati dall’associazione internazionale Figli del deserto. Sono due autentiche icone del grande schermo. E anche del piccolo. E il film (Stanlio e Ollio di Jon S. Baird) parte nel raccontarli quando sono all’apice della loro carriera nel 1937. In un lungo piano sequenza che molto racconta i due stanno recandosi in studio per girare I fanciulli del West, con un indimenticabile balletto davanti al saloon. Un brano da antologia.

SIAMO già venuti a sapere che Oliver gioca, beve e dilapida con le donne, quest’ultimo tratto comune anche a Stan che però è la mente creativa della coppia. E Stan vorrebbe ricavare di più dal loro successo, mentre Oliver è più conciliante con il produttore Hal Roach. Date le coordinate, i temperamenti e le problematiche il racconto si sposta poi in Gran Bretagna negli anni Cinquanta. Il successo planetario è ormai alle spalle, la coppia, pur nella speranza di girare laggiù un film su Robin Hood, ha accettato una tournée teatrale che parte in provincia, li ospita in pensioncine miserabili e in teatri in cui le seggiole vuote sono molte di più di quelle occupate dagli spettatori. Malinconia, ma si sa, quando il clown non fa spettacolo affiora la tristezza. Stanlio e Ollio però non sono proprio così, spronati dall’ansia creativa di Stan offrono gag comiche in continuazione anche nella vita reale. E un po’ alla volta i teatri tornano a riempirsi.

ARRIVANO anche le rispettiva consorti dagli Stati Uniti quando sono ormai al prestigioso hotel Savoy di Londra con il teatro esaurito. Ma i tempi sono cambiati, Oliver è sempre più grasso e malato, Stan sempre più frenetico, non basta più arrotolare la cravatta o grattarsi la testa, la coppia rischia di esplodere di fronte all’inesorabile trascorrere del tempo.
Jon S. Baird dirige su sceneggiatura di Jeff Pope puntando più sulla lacrimuccia che sulla risata. E questo ci può stare nel raccontare la storia di una coppia in cui Oliver e Stan erano indispensabili uno all’altro per realizzare qualcosa di buono. Grande merito va ascritto alla coppia protagonista: Steve Coogan è magistrale non tanto e soltanto nel riproporre i gesti caratteristici di Stan ma nel catturare lo spettatore che in lui vede davvero Laurel. Non di meno John C. Reilly, coadiuvato da protesi ingrassanti piazzate ovunque, quindi con maggiore difficoltà di azione e movimento, offre un Hardy indimenticabile e toccante. E va sottolineato come, se possibile, sarebbe meglio vederli in lingua originale.

Purtroppo però il film non sono soltanto i due protagonisti e, forse per restituire uno spirito comico che risulta invece stonato, gli altri personaggi sono delle macchiette grottesche, dal produttore al manager del tour inglese, con punte di disagio rappresentato dalle mogli. Certo, devono rompere l’idillio tra i due (e quasi ci riescono), ma il modo in cui vengono proposte le loro figure è davvero sciocco e ripetitivo. Per fortuna prevale il duo, anche nelle scene di letto (ce ne sono diverse) capace di regalarci grandi momenti di cinema e teatro.