La Commissione europea continua la sua campagna contro l’evasione fiscale dei grandi gruppi del capitalismo digitale. Ieri ha assegnato due colpi a Amazon e Apple, stigmatizzando la concorrenza fiscale sleale dei governi irlandesi e del Lussemburgo che costituiscono una delle sponde per le strategie elusive e evasive dei grandi gruppi americani in Europa. Il colosso delle vendite online Amazon dovrà restituire al Lussemburgo imposte per 250 milioni di euro. L’accordo fiscale (tax-ruling),concesso nel 2003 alla multinazionale dalle autorità del Granducato, costituisce un aiuto di Stato illegale, che ha permesso alla compagnia di ridurre notevolmente il proprio carico fiscale. Di tutt’altro avviso è Amazon che ritiene di non avere ricevuto un trattamento speciale dal Lussemburgo e di aver pagato le tasse. Il gruppo sta valutando un ricorso in appello.

LA COMMISSIONE ha deciso anche di deferire l’Irlanda alla Corte di Giustizia europea per non aver recuperato da Apple i 13 miliardi di euro di aiuti di Stato illegali, come richiesto da una decisione ratificata nell’agosto 2016. La deadline per l’Irlanda era stata fissata al 3 gennaio 2017, quattro mesi dopo la decisione dell’esecutivo sugli aiuti all’azienda statunitense. Dublino avrebbe dovuto implementare la decisione stessa.

«FINCHÉ L’AIUTO ILLEGALE non viene recuperato, la compagnia in questione continua a beneficiare di un vantaggio illegale, motivo per cui il recupero deve avvenire il più velocemente possibile» ha specificato Bruxelles. Sebbene l’Irlanda abbia «fatto dei progressi» nel calcolo della cifra esatta dell’aiuto illegale, ha pianificato di terminare il proprio lavoro al più presto nel marzo del 2018. Una decisione «estremamente deludente», un «passo totalmente non necessario», ha commentato il governo irlandese.«L’Irlanda non ha mai accettato l’analisi della Commissione, ma siamo sempre impegnato a assicurare il recupero. È estremamente deplorevole che Bruxelles abbia fatto questa mossa».

I NUMERI fanno comprendere anche quanto deplorevole sia stata la decisione dei politici irlandesi che hanno garantito a Amazon un tasso massimo dell’1% sceso a 0,005% nel 2014. L’aliquota abituale dell’imposta sulle società in Irlanda è del 12,5%. Agli irlandesi sono stati negati 13 miliardi di euro in meno in servizi.

«IL TRATTAMENTO PRIVILEGIATO, sancito da accordi fiscali segreti, riservato alle multinazionali dai governi di tutto il mondo, permette un alleggerimento inaccettabile delle imposte a beneficio dei grandi colossi internazionali – ha dichiarato Aurore Chardonnet, policy advisor di Oxfam sui dossier di giustizia fiscale – A pagarne il prezzo sono i cittadini, privati di risorse erariali necessarie a potenziare i servizi pubblici come sanità ed istruzione, di misure di sostegno al lavoro e lotta alla povertà, e le piccole e medie imprese nazionali, vittime di una concorrenza sleale da parte delle imprese multinazionali».

IL LUSSEMBURGO, il cui governo è stato guidato per 18 anni l’attuale presidente della Commissione Ue Juncker,s ostiene che la decisione è riferita a un periodo che riporta al 2006. Nel frattempo sia il quadro legale internazionale che quello del Lussemburgo è cambiato. Alla precisa domanda sulle responsabilità di Juncker, la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager ha cercato di essere la più evasiva possibile: «Noi investighiamo sul comportamento degli Stati non si tratta di un investigare dal punto di vista penale su singole persone». La posizione di Juncker è delicata. Le sue responsabilità, in quanto capo del governo, imbarazzano la Commissione che oggi presiede anche se lui ha sempre assicurato che Vestager gode della massima autonomia.

LA CLAMOROSA INCHIESTA giornalistica «LuxLeaks», condotta da 80 giornalisti di 26 Paesi nel 2014 ha dimostrato come il Lussemburgo durante i plurimi mandati di Juncker abbia fatto risparmiare miliardi di tasse sui profitti alle multinazionali, pagando anche meno dell’uno per cento di imposte sui benefici d’impresa nel Granducato. Casi molto simili di «aiuti di stato illegali» a Amazon sono quelli che riguardano McDonald’s e Gdf (ora Engie).

IL RICORSO CONTRO AMAZON si è concentrato su due società insediate in Lussemburgo e controllate dal genitore americano – Amazon EU Group e Amazon Europe Holding Technologies. Quest’ultima è stata descritta dalla commissione come «un guscio vuoto» perché non aveva dipendenti o uffici ed è stata usata per tagliare drasticamente il conto fiscale della società. Secondo la ricostruzione della Commissione, la prima società è attiva nelle vendite al dettaglio e opera in tutto il continente. Occupa 500 persone che gestiscono le vendite online e la distribuzione dei prodotti in Europa. I proventi così realizzati sono stati registrati in Lussemburgo.

AMAZON EU GROUP gestisce le attività della società in Europa e ha trasferito – fiscal ruling – il 90% degli utili operativi a Amazon Europe Holding Technologies che non è tassata. Amazon ha pagato un’imposta effettiva del 7,25%, rispetto al tasso del 29% vigente in Lussemburgo. Sulla base della legislazione fiscale lussemburghese, la società di gestione – Amazon EU Group – è soggetta all’imposta sulle società in Lussemburgo, mentre la holding – Amazon Europe Holding Technologies – non lo è. Gli utili registrati dalla holding sono tassati solo al livello dei soci e non al livello della società. I soci della compagnia di holding risiedono negli Stati Uniti e non hanno finora rispettato gli obblighi fiscali. La Commissione sostiene che Amazon «ha fatto uso di questa struttura, approvata dal ruling fiscale in esame, tra il maggio 2006 e il giugno 2014, quando ha modificato il suo modo di operare in Europa». La nuova struttura non rientra dell’ambito dell’indagine sugli aiuti di Stato della Commissione.

“PROGETTO REGOLO”, questo è il nome – ispirato all’«uccello nazionale» del Lussemburgo – del sistema fiscale creato da Amazon grazie a un accordo del 2003 con le autorità del Granducato. Anche dagli Usa hanno seguito il volo di Amazon, ma inutilmente. A marzo un tribunale ha respinto la richiesta del fisco americano di 1,5 miliardi di dollari in imposte non retribuite legate allo schema lussemburghese.

LA CONCORRENZA AL RIBASSO sulle aliquote è il cuore della concorrenza sleale inter-capitalistica in corso tra i paesi membri dell’Unione Europea. Per attrarre centinaia di multinazionali, gli Stati membri si trasformano in Stati pirata e, al costo di negare miliardi alla propria popolazione, si sfidano sul terreno dell’evasione fiscale che, invece, dovrebbero combattere.

E’ UN ALTRO ASPETTO DEL CAOS SISTEMICO di un’Eurozona già segnata dall’asimmetria di potere economico tra il Nord a dominanza tedesca e il Sud mediterraneo. La situazione è così grave al punto da avere scosso dal loro sonno opportunista persino i governi dell’Ue. Non quelli che beneficiano di una manciata di posti di lavoro – come l’Irlanda – ma le economie maggiori – Italia, Spagna, Francia e Germania – le più danneggiate. Questi paesi hanno formulato una proposta di WebTax che, di recente, è stata recepita anche dalla commissione Ue.

LA POSSIBILITA’ di un’approvazione della tassa resta remota, ed è comunque rinviata al 2018, in attesa anche di un parere dell’Ocse e, infine, del voto definitivo di tutti i governi dell’Ue. Esito non scontato al punto da avere spinto i quattro paesi promotori della Web Tax ad annunciare un provvedimento unilaterale sulla cui efficacia è lecito oggi dubitare. In generale si sta pensando a istituire un minimo coordinamento fiscale a livello sovra-nazionale, l’unico che potrebbe garantire (ma è tutto da provare) un’azione efficace contro gli schemi elaborati dalle multinazionali. Nel maggio 2017 sono state adottate nuove norme per prevenire l’elusione fiscale per garantire l’applicazione anti-abuso. Si pensa anche a una base imponibile comune per l’imposta sulle società. In questo quadro potrebbe essere inserita la futuribile WebTax.