All’inizio della seconda guerra mondiale, dal 23 agosto 1939 al 22 giugno 1941, la Germania Nazista e l’Unione Sovietica furono alleate grazie al famoso Trattato di non aggressione, firmato a Mosca dal ministro sovietico, Molotov e da quello nazista von Ribbentrop e perciò conosciuto come «il patto Molotov-Ribbentrop». Già il fatto che esso sia ricordato così, e non come «il patto Stalin-Hitler», dice molto sul fatto che, nella memoria collettiva, esso è stato a lungo considerato da un lato come uno stratagemma voluto da Stalin per preparare il suo paese all’inevitabile, durissimo scontro militare, e dall’altro come una mossa tattica, intrapresa da Hitler per annettersi gran parte della Polonia, senza rinunciare in fondo all’intenzione di annientare l’Unione Sovietica.

Nuovi elementi
A partire dagli anni Novanta, tuttavia, dagli archivi sovietici è emerso il Protocollo segreto che aveva accompagnato il Trattato, mutando considerevolmente la comprensione di quell’evento e delle sue decisive conseguenze. A questo ripensamento è ora dedicato il libro di Claudia Weber, Il patto Stalin, Hitler e la storia di un’alleanza mortale 1939-41(Einaudi, traduzione di Monica Guerra, pp. 264, € 28,00).

Le ragioni della stipula del Trattato, pur potendosi giovare della tradizionale cooperazione economica russo-tedesca che nel libro viene attentamente ricostruita, furono squisitamente geopolitiche. Nel settembre del 1938 la conferenza di Monaco, seguita all’invasione tedesca dell’Austria e alla cosiddetta crisi dei Sudeti, aveva visto un accordo internazionale tra le principali potenze europee che escludeva l’URSS. La politica franco-britannica dell’appeasement fece concessioni sostanziali a Hitler ma tenne Stalin fuori dai giochi, negandogli ciò che chiedeva, vale a dire una serie di territori confinanti con l’URSS, in modo da creare un’area di diretta influenza sovietica. Nacquero da qui i contatti russi con la Germania: il 23 agosto del 1939, a Mosca veniva così firmato il Trattato che sanciva la divisione d’Europa tra Germania e Russia.
Non solo la Polonia veniva spartita tra le due potenze ma i nazisti riconoscevano il predominio sovietico sull’area Baltica e sulla Bessarabia.

Malgrado l’antibolscevismo fosse stata una delle principali ragion d’essere del nazionalsocialismo e benché lungo gli anni Trenta l’ideologia comunista fosse stata sostenuta dall’antifascismo di matrice moscovita, l’alleanza fu sancita ed è come se l’interesse di potenza avesse temporaneamente ma crucialmente sconfitto le ideologie di sostegno del totalitarismo. Ne seguì un generale sconcerto tra le fila comuniste, simboleggiato dall’allontanamento di Arthur Koestler, che avrebbe pubblicato l’anno dopo Buio a mezzogiorno, ma anche un preciso malessere tra quelle tedesche cui diede voce Alfred Rosenberg, l’ideologo nazista, uno dei pochi che potevano permettersi di esprimerlo.
Soprattutto, il Trattato consentì a Hitler, una settimana dopo, di invadere la Polonia, atto di inizio della seconda guerra mondiale.

Tra lo sconcerto tedesco le truppe russe non intervennero immediatamente, ma solo quindici giorni dopo, il 17 settembre; Stalin intendeva, infatti, presentare falsamente l’intervento sovietico come una misura difensiva, affermando che, a causa del crollo dello stato polacco i «fratelli di sangue ucraini e bielorussi» erano rimasti indifesi e il governo sovietico non poteva restare indifferente rispetto alle minacce che gravavano sul loro destino. Insieme alle deportazioni di massa, ai reinsediamenti e agli spostamenti di popolazione, l’interscambio e i contatti fra l’occupante tedesco e quello sovietico – coordinati da commissioni congiunte tra SS, Gestapo e l’Nkvd – sfociarono in stragi di massa: la cosiddetta operazione Ab di «purificazione» nazista dell’élite polacca, e quella stalinista di Katyn’, uno dei più famigerati crimini di guerra dello stalinismo.

Ma gli effetti del Patto sarebbero andati ben al di là della Polonia consentendo al nazismo i cosiddetti Blitzkriege: il Terzo Reich occupò la Francia, gli stati del Benelux e parte della Scandinavia mentre l’Unione Sovietica inglobò i paesi baltici, la Bessarabia e la Bucovina settentrionale. Al termine delle campagne militari Hitler aveva ampliato il suo dominio di 800.000 chilometri quadrati, mentre Stalin era riuscito a estendere la sua area di influenza diretta di 422.000 chilometri quadrati. A quel punto, nella primavera del 1940, ottenuta la spartizione dell’Europa, l’alleanza iniziò la sua parabola discendente. In particolare l’occupazione sovietica di Bessarabia e Bucovina ne misero in crisi la tenuta politica. Hitler propose a Stalin di espandersi in Asia verso l’India, dove un conflitto britannico-sovietico sarebbe stato inevitabile, e in sostanza di abbandonare strategicamente l’espansione in Europa ma davanti al rifiuto sovietico maturò la decisione di attaccare l’URSS.

Incertezza sovietica
Per quanto informato in dettaglio dei piani nazisti di apertura di un fronte orientale antisovietico, Stalin fu restio a trarne le conclusioni e questa incertezza, pagata tragicamente sul piano militare, rafforzò però il mito sovietico della «grande guerra patriottica», contribuendo a far dimenticare i primi ventidue mesi di guerra, quelli in cui il patto fu in vigore. Il 22 giugno 1941, giorno dell’invasione sovietica dell’Urss, Winston Churchill, ricevette la notizia della fine del patto Hitler-Stalin con uno smile of satisfaction, e prontamente promise all’Unione Sovietica «ogni sostegno tecnico o economico che sia in nostro potere». L’alleanza con Washington era stata già avviata, e il patto Hitler-Stalin dimenticato. La sua fine coincise così con la nascita dell’alleanza occidentale con Stalin. Per Churchill era the lesser of the two evils, il male minore.