Ci sono molte interpretazioni possibili del movimento proteiforme dei gilet gialli. Tra queste, è spesso evocata la Francia periferica, il concetto coniato dal geografo Christophe Guilluy, che oppone la Francia delle città-centro agiate alla Francia rurale periferica. Tuttavia, la povertà è maggiormente presente nelle città che nelle campagne : ciò è particolarmente vero nelle città-centro, dove un abitante su cinque è povero.

All’altro estremo territoriale, i comuni isolati che non appartengono a un’area urbana, hanno egualmente un tasso di povertà alto (17%), ma questi comuni riuniscono solo il 4% dell’insieme della popolazione.

Però non sono i più poveri tra i francesi (che, ricordiamolo, vivono al 66%% nei grandi poli urbani) che hanno infilato il gilet giallo, anche se per il momento è difficile rappresentare sociologicamente questa popolazione. Nelle testimonianze si esprimei la collera di una Francia dai redditi modesti, delle classi medie inferiori e delle classi popolari, che costituisce un’ampia parte della popolazione. Il 50% della popolazione ha un livello di vita compreso tra 1.139 e 2.125 euro al mese.

La congiunzione di tre fenomeni ha potuto attizzare la collera di questa parte della popolazione, uno di natura congiunturale – le misure annunciate dal governo sulla tassazione delle energie che emanano CO2 – gli altri di natura più strutturale – la stagnazione del livello di vita dalla crisi del 2008 e la crescita di una parte delle spese obbligate nel budget delle famiglie, in particolare di quelle modeste.

In effetti, dalla crisi del 2008, il livello di vita dei francesi non migliora più, mentre era cresciuto in modo quasi continuo dagli anni ’90 (con una sola frenata tra 2002 e 2004, dopo di che il livello di vita è progredito dell’1,7% l’anno fino al 2008). Sono quindi 10 anni che il potere d’acquisto stagna.

Le ineguaglianze però non sono aumentate. Il rapporto tra il livello di vita del 10% più ricco e quello del 10% più povero è più o meno stabile da 20 anni e oscilla tra il 3,4 e il 3,5. Il livello delle ineguaglianze è d’altronde meno elevato in Francia che nella media dell’Ue. Certo, la sensazione di ingiustizia non è direttamente correlata alla misura oggettiva di queste ineguaglianze e i francesi sono particolarmente sensibili alle ineguaglianze di reddito.

Ma questa sensibilità è certamente rinforzata dalla stagnazione del potere d’acquisto. Questa stagnazione concerne tutti i livelli di reddito (di qui la stabilità del livello di ineguaglianza) ma evidentemente ha maggiori conseguenze sulla vita quotidiana se il reddito è più basso. Inoltre, in questo reddito che non cresce più, i francesi vedono la parte delle spese obbligate – affitto e costi della casa, rimborso dei debiti, abbonamenti, assicurazioni ecc. – crescere nettamente. Queste spese obbligate – affitti e contributi – rappresentano il 38% dei consumi complessivi delle famiglie povere, 35% di quelle modeste contro soltanto il 22% per le famiglie agiate. Dal 2001 la parte di queste spese obbligate nell’insieme delle spese è aumentata più in fretta per le famiglie povere rispetto alle famiglie agiate, riducendo per i primi la parte di reddito di cui gli individui possono disporre liberamente.

Per esempio, un terzo delle persone di reddito modesto che erano considerate non povere in termini di livello di vita, diventano «povere» dal punto di vista del reddito «libero». In altri termini, se prendiamo in considerazione solo la parte di reddito di cui le persone possono disporre liberamente, la situazione delle persone con redditi modesti è ancora meno favorevole di quanto non lo lasci supporre il livello di vita preso nella sua totalità. Per una parte di queste persone – e su questo punto il fatto di vivere in zona rurale è certamente un criterio decisivo – la benzina che utilizzano per spostarsi è certamente interpretata, a livello soggettivo, come una spesa non libera. Non possono rinunciarvi per gli spostamenti professionali o per fare la spesa, se non ci sono, come succede sovente, dei trasporti pubblici. L’aumento delle tasse sui carburanti ha quindi per queste persone un impatto maggiore, oggettivamente e soggettivamente, sul reddito «libero» che per le persone che possono decidere di diminuire l’uso dell’automobile.

L’insieme di questi fattori – stagnazione del livello di vita, parte crescente delle spese incompressibili per le famiglie modeste – è stata una miscela esplosiva con l’aumento delle tasse sulla benzina annunciato dal governo. Queste persone il cui reddito non migliora più e che dispongono di un debole livello di risorse di cui possono disporre per spese non essenziali, hanno certamente visto in queste misure un vincolo supplementare che restringeva ancora le loro capacità già limitate di scelta. Al di là dell’aspetto finanziario, un doppio sentimento può alimentare pessimismo e collera: quello di non avere prospettive di evoluzione e quello di vedere sempre più restringersi la propria autonomia, la capacità di fare delle scelte e di orientare la propria vita. Nei confronti di questa posta in gioco, le scelte per il paese all’orizzonte di 10 o 20 anni possono apparire secondarie a questa parte della popolazione. La pedagogia a favore delle riforme diventa un esercizio sempre più difficile.

*Copyright Telos