Tutti sanno quanto brava sia Maria Paiato, eppure ogni volta ci si stupisce per quanto lei riesca a superarsi. Ogni volta irriconoscibile nei tratti, quasi la sua faccia assuma caratteristiche altre, ovvero del personaggio. E ogni volta con una forza di magnetica attrazione sul pubblico, fino a farlo schierare anche con i personaggi più strampalati ed estranei. Capita  anche ora, sola per un’ora e mezzo attorno a un tavolo/pedana circolare, dove si cala nelle vesti multicolori e straccione di Maria, l’altra faccia di quella pergolesiana e delle litanie religiose: Stabat Mater (al Piccolo Eliseo fino a domenica 18). Un figlio e un di lui padre come peggio non potevano capitarle, un linguaggio colorito e senza velature, una fede incrollabile nel proprio coraggio, da spendere soprattutto nelle cause senza speranza. Tutto il dolore del mondo non riesce a trattenerla né domarla. Un «mostro» che si finisce presto per amare, mentre incespica tra dialetti e tragedie, sentimenti incontenibili e delusioni cocenti. In quel suo linguaggio sta la forza che le diede circa vent’anni fa Antonio Tarantino, cantore indomabile di ogni marginalità. Qui, con la regia di Giuseppe Marini, travolge ogni resistenza e vince.