«Squilibrio macroeconomico eccessivo». Questa è la formula con cui nella neolingua dell’Unione europea s’intende dire che uno stato membro ha grossi problemi. E che, di conseguenza, viene messo sotto stretta osservazione da Bruxelles, e indotto a mettere in pratica le sue raccomandazioni.

Da ieri, anche l’Italia è sorvegliata speciale: la Commissione Ue considera che il nostro Paese soffra di eccessivi squilibri: nei prossimi sei mesi dovrà mostrare di intraprendere le immancabili «riforme necessarie», per poter passare indenne il prossimo esame. Così funziona la governance economica europea, concepita e realizzata in questi anni di crisi.

A celebrare il rituale dello svelamento del risultato degli «esami approfonditi» della Commissione, ieri a Bruxelles, è stato come sempre l’ineffabile Olli Rehn, vicepresidente dell’esecutivo comunitario e «ministro» degli affari economici. Il politico finlandese potrebbe essere all’ultima di simili apparizioni, se alle elezioni del prossimo 25 maggio cambieranno gli equilibri che vedono attualmente il predominio del centrodestra nella Ue. Rehn, in realtà, a Bruxelles vuole restarci ancora: è uno dei due candidati di punta del Partito liberale (l’altro è il belga Guy Verhofstadt), quindi uno degli sfidanti diretti del socialista Martin Schulz e del leader della sinistra di alternativa Alexis Tsipras.

Per la Commissione, l’Italia non ha i conti in ordine, ed è l’ultima della classe insieme a Croazia e Slovenia. I problemi principali? «Un debito pubblico molto elevato e una competitività esterna debole», recita il comunicato di Bruxelles. «Entrambi gli aspetti sono ascrivibili in ultima analisi al protrarsi di una crescita deludente della produttività e richiedono un intervento urgente e risoluto per ridurre il rischio di effetti negativi per l’economia italiana e per la zona euro». A differenza dei compagni di bocciatura ex-jugoslavi, l’Italia ha un peso economico tale da poter danneggiare l’intera area. Nel 2013 ci sono stati progressi, ha affermato Rehn, ma le misure previste per la riduzione del debito e per la crescita economica nel 2014 sono ritenute insufficienti. Nel mirino – come sempre – anche il «disallineamento fra salari e produttività».

L’altro Paese maggiore della «periferia in crisi» appare, agli occhi della Commissione, avviato su una strada migliore: la Spagna, pur in una condizione di squilibrio, è tornata a crescere, grazie alla diligenza nel «fare i compiti» assegnati da Bruxelles. Ovviamente, l’esigenza di continuare con le «riforme strutturali» resta anche per gli iberici.

Una (lieve) tirata d’orecchi se la prende la Germania, colpevole di puntare tutto sull’export e di deprimere il proprio mercato interno, che la Commissione invita invece a riattivare un po’: una volta tanto, una raccomandazione sacrosanta (anche se tardiva), condivisa dalla sinistra tedesca.

Alle parole di Rehn il presidente del consiglio Matteo Renzi ha reagito con un tweet, impegnandosi a «cambiare verso». Nulla di più.

Un po’ meno ermetico era stato qualche ora prima il ministero dell’economia che, in una nota, aveva difeso «il programma di riforme dell’Esecutivo», giudicandolo «in linea con l’analisi della Commissione». Ad esempio: la riduzione del cuneo fiscale, «che il governo si accinge a fare». E poi, la bandiera del deficit sotto controllo: «La soglia del 3% non è stata superata». Dalla visita di stato in Albania, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha posto l’accento sulla necessità di «una crescita sostenibile e compatibile con l’equilibrio dei conti pubblici».