Pochi segni della temperatura di un fenomeno popolare -di un presidente, di una star, di una moda o di una newstory – valgono più di uno sketch di Saturday Night Live. Definita da Netflix (generalmente restio a fornire dati d’ascolto) la serie più di successo dell’intera storia della piattaforma, Squid Game è stata oggetto di una delle ambitissime parodie del programma di Lorne Michaels che, nella puntata presentata da Rami Malek (aka Lyutsufer Safin, in No Time to Die), due settimane fa, ha trasformato il planetario successo coreano in un musical country/hip hop, corredato delle tutine acriliche verdi e della temibile bambolona con occhi mitragliatrice che falcia centinaia di concorrenti in uno sguardo.
Battle Royale, Hunger Games, le varie declinazioni di The Most Dangerous Game (a partire da quella del 1932, diretta da Irvin Pichel e Ernest B. Schoedsack, con Joel McRea) …il torneo della morte, con partecipanti umani sterminati «per gioco», su cui si basa Squid Game ha parecchi precedenti. A quella classica premessa distopica, la serie creata da Hwang Dong-hyuk aggiunge – da un lato – un gusto perverso per l’immaginario ludico infantile, e dall’altro una texture sporca, realistica, ancorata alla lotta di classe da terzo millennio. Il risultato è una contraddizione astuta e avvincente, una parabola anticapitalista articolata come una nursery rhyme -colori caramella e il mercato nero di organi; la logica spietata del videogame in un set geometrico da quadro di Escher e le strade povere, puzzolenti e allagate di Parasite, una satira beffarda del materialismo terminale che caratterizza il nostro tempo e la voglia di continuare a dare una chance ai personaggi.

LI CONOSCIAMO quasi tutti durante la prima puntata: un ex autista pieno zeppo di debiti di gioco che vive con sua madre e rischia che l’ex moglie gli porti via per sempre la bambina; un suo ex compagno di scuola che era diventato un astro della borsa ma adesso è ricercato per truffa; una ragazza fuoriuscita dalla Corea del Nord a cui sono stati rubati dei soldi con cui sperava di farsi raggiungere dalla famiglia; un vecchio «filosofo» con un tumore alla testa; un immigrante pachistano fregato dal padrone; un gangster che si è bruciato dietro tutti i ponti, anche con quelli della sua gang…Darwinianamente ridotti ai margini dei rispettivi universi, in bilico ognuno su un suo abisso particolare, questi rifiuti del mercato globale si aggrappano al biglietto da visita dorato offerto loro da uno sconosciuto che li ferma per strada e li sfida a un gioco. Sarà solo il piccolo assaggio dell’olimpiade che li attende su un’isola al largo di Seul, governata, da un uomo con cappa, cappuccio e maschera un po’ Darth Vader, a capo di un esercito di soldati/pixel in rosa shocking, mascherati anche loro.
Ispirate da noti giochi per bambini (coreani e non), e spesso inscenate su idilliaci paesaggi in trompe l’oeil, le sfide a cui sono sottoposti i concorrenti si rivelano mortali fin dall’inizio (la prima è quella della bambola).

AD OGNI CONCORRENTE che muore (sono oltre quattrocento) la pancia di un gigantesco salvadanaio trasparente sospeso nel dormitorio palestra dove sono tutti rinchiusi, si riempie di milioni di nuove banconote. Più la posta cresce e meno si fanno gli scrupoli. Non ci vuole molto perché i concorrenti inizino ad uccidersi a vicenda, nel cuore della notte, per accelerare le cose. Intanto, nei meandri dell’isola, è arrivato un poliziotto che sta cercando suo fratello, e un gruppo di soldati corrotti ha improvvisato una sala operatoria per estrarre occhi e organi vari ai cadaveri, e poi venderli. Nel grandguignol generale, a cui si aggiungono nelle ultime puntate (le meno riuscite) anche dei plutocrati con maschere dorate e vestaglie di broccato, che vogliono assistere di persona alle «finali», la vera suspense della serie non è data tanto dalla curiosità sulla natura del gioco a venire, ma dall’osservazione di come ad ogni sfida reagiscono i personaggi. Le loro alleanze, le strategie le scelte. È nelle loro caratterizzazioni (spesso fatte di pochi tratti) che la serie acquista spessore e interesse.

SE IL VALORE shock del primo episodio ti fa andare avanti, Hwang Dong-hyuk «aggancia» veramente il pubblico all’episodio 2, intitolato Hell/Inferno, ma che non è ambientato sull’isola ma nella «realtà» delle vite in nome della quali i protagonisti sono finiti in quest’incubo.